Francesco Baracca (Lugo, 9 maggio 1888 – Nervesa, 19 giugno 1918) è stato il principale asso dell’aviazione italiana durante la prima guerra mondiale nel corso della quale gli vennero attribuiti trentaquattro abbattimenti di aerei nemici, il numero più alto mai raggiunto da un aviatore dell’Aeronautica italiana.
Nel 1912, incantato da un’esercitazione aerea presso l’aeroporto di Roma Centocelle, passò in aviazione, ancora non autonoma dal Regio Esercito. Frequentò i corsi della scuola di pilotaggio a Bétheny in Francia con un Nieuport 10, e nell’estate del 1912 ottenne il brevetto di pilota.
Si distinse presto per la straordinaria abilità nelle tecniche acrobatiche. Nel 1914 venne assegnato al Battaglione Aviatori, prima presso la 5ª e poi con la 6ª Squadriglia. Alla vigilia della prima guerra mondiale, Baracca fu inviato a Parigi dove si addestrò sul caccia Nieuport 10.
Nel maggio 1918, gli fu modificata in pregio una medaglia d’argento in oro. Il 15 giugno, con l’abbattimento di altri due aerei, ottenne le sue ultime vittorie, abbattendo per ultimo un caccia Albatros D.III con uno SPAD S.XIII in zona San Biagio di Callalta. Era la sua vittoria ufficiale numero trentaquattro riportata in sessantatré combattimenti aerei.
Il 19 giugno, dopo aver compiuto una missione, il trentenne Baracca rientrò al campo di Quinto di Treviso, lo SPAD S.XIII con cui aveva compiuto i primi voli della giornata aveva il rivestimento in tela delle ali e della fusoliera danneggiato, perciò egli decollò con il suo aereo di riserva, uno SPAD S.VII, per un’ulteriore missione. Altri due aerei della 91ª Squadriglia decollarono con lui, il giovane Osnago e il veterano Costantini. Al momento del decollo Costantini era già partito, lasciando a Baracca la sola scorta dell’ancora acerbo Osnago.
Mentre i piloti erano impegnati in un’azione di mitragliamento a volo radente sopra Colle Val dell’Acqua, sul Montello, l’asso italiano venne abbattuto. Baracca fu colpito da un biplano austro-ungarico visto troppo tardi, quando già l’asso del Regno d’Italia era stato colpito dalla prima delle due raffiche sparate dall’osservatore. Il pilota Max Kauer e l’osservatore Arnold Barwig fornirono una documentazione che sarebbe stata sufficiente a far accreditare loro la vittoria, ma essa fu inizialmente negata dalle autorità italiane per motivi propagandistici.
Verrà ritrovato qualche giorno dopo, il 23 giugno, dal capitano Osnago, compagno dell’ultimo volo, che su segnalazione dell’ufficiale Ambrogio Gobbi raggiunse le pendici del Montello con il tenente Ranza ed il giornalista Garinei del Secolo di Milano. Presso i resti dell’aeroplano, si trovava il corpo del trentenne Baracca: ustionato in più parti, presentava una ferita nell’incavo dell’occhio destro e al naso. Le ali e la carlinga dello SPAD S.VII erano totalmente bruciate, il motore e la mitragliatrice al suolo e il serbatoio perforato da due pallottole.
La sacra liturgia del funerale si tenne il 26 giugno a Quinto di Treviso, alla presenza di autorità civili e militari, l’elogio funebre venne pronunciato da Gabriele D’Annunzio, ammiratore del pilota di Lugo. La salma di Baracca verrà poi inumata in una cappella sepolcrale nel cimitero di Lugo. Il sarcofago, fuso col bronzo di cannoni austriaci del Carso, è sormontato da un’aquila che solleva la bandiera italiana con la croce di Savoia.
Francesco Baracca (Regno d’Italia) con Manfred von Richthofen (Impero tedesco), Ernst Udet (Impero tedesco), Godwin Brumowski (Impero Austro-Ungarico), René Fonck (Repubblica francese), James McCudden (Impero britannico) e Billy Bishop (Impero britannico) riposa in eterno nel “Pantheon” degli Assi del volo da guerra della prima Guerra Mondiale.
L’insegna personale di Baracca, un cavallo rampante estratto dallo stemma del 2º Reggimento cavalleria “Piemonte Reale” (che in un quarto presenta un cavallo d’argento in campo rosso) di cui l’asso romagnolo era in organico, era dipinta sulla fiancata sinistra del proprio velivolo, mentre sulla destra trovava posto quella della 91ª Squadriglia (un grifone).
Il temuto e blasonato colore nero fu applicato in segno di lutto dopo la morte di Baracca dai suoi camerati di squadriglia che rinunciarono così alle proprie insegne personali. La fedeltà all’Esercito Reale e al Reggimento di provenienza è confermata dalla prova che Baracca mantenne sull’uniforme i baveri rossi e sul berretto la granata a fiamma dritta dei Cavalieri del Piemonte Reale.
Fabio S. P. Iacono