FOCUS SUL LAVORO: PARTECIPAZIONE-SICUREZZA-SALARI

Traendo spunto da una  Indagine sui lavoratori a cura Istituto Piepoli per UGL

Ricerca su popolazione e lavoratori, a cura dell’Istituto Piepoli per il Sindacato UGL,

sul tema della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e sull’adeguatezza della retribuzione.

Articolo 46 della Costituzione italiana: conoscenza e interesse

Dopo molti anni di vane speranze e di oblio indotto, si può pensare, che un certo ottimismo, nel dare attuazione all’articolo 46 della Carta Costituzionale, possa essere finalmente ben riposto. Se nel 2009 si arrivò vicini alla attuazione del dettato costituzionale sulla “Partecipazione” per poi partorire il “topolino” dell’articolo 4 comma 62 della, per altro vituperata, legge Fornero, che ne doveva lanciare una sperimentazione, poi mai finanziata, la positiva combinazione astrale tra Governo di destra centro e  gli aspetti inclusivi del tema, che coinvolgono non solo l’area identitaria, ma anche  il mondo cattolico, il liberalismo, il riformismo fabiano socialista e l’ecologismo comunitarista, potrebbero fare il miracolo. Le Confederazioni sindacali di fronte a questo nuovo scenario si presentano in ordine sparso. La CISL, recuperando una sua vocazione storica, che la vedeva dalla sua fondazione favorevole a forme di partecipazione alla gestione dell’impresa, retaggio della dottrina sociale della Chiesa, ha presentato una sua proposta di legge di Iniziativa Popolare, la UGL in collaborazione con l’Istituto Stato e Partecipazione, ne ha proposta un’altra, mentre in Parlamento, in questa legislatura, risultavano presentate svariate proposte di legge da singoli deputati o gruppi politici, due da parte di Fratelli d’Italia, una da parte della Lega, un’altra dai capogruppo di FdI, Forza Italia e Moderati, una da parte di Italia Viva, quest’ultima prevede, tra l’altro, un interessante limite alla sproporzionata crescita della remunerazione dei CEO e del Top Management aziendale. . La UIL ha mantenuto invece una posizione maggiormente defilata e la CGIL, dopo le aperture di alcuni anni fa da parte di figure apicali della Confederazione, quali l’ex Segretario Generale Susanna Camusso, ha assunto un ruolo attendista e velatamente critico ai progetti proposti, essendo più propensa ad aspetti partecipativi  finalizzatati alla mera informazione e alla consultazione delle organizzazioni sindacali, ma ideologicamente contraria a qualsia forma di corresponsabilizzazione e   codeterminazione dei lavoratori nella gestione dell’impresa. Invece la controparte datoriale preferirebbe forme di partecipazione su base contrattuale, che, seppur nel tempo presenti in taluni contratti collettivi di lavoro, non hanno mai trovato una utile e concreta attuazione.  Storicamente il fronte partecipativo rimane alla ricerca di una formula, la più condivisa possibile, utile ad un superamento degli aspetti conflittuali, che, dal ritrovato pluralismo sindacale, caratterizzano le relazioni negoziali dei rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro.

Quindi, in buona fine,  la presentazione di proposte di legge in applicazione dell’articolo 46 della Costituzione sono da considerarsi un punto di svolta o solo una ulteriore fase interlocutoria ? Vediamo cosa appare dall’indagine svolta sul tema in termini di conoscenza ed interesse

“Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.

È quanto recita il dettato costituzionale all’articolo 46 e così è stato presentato agli individui coinvolti nella ricerca per sondarne il livello di conoscenza.

Questo articolo risulta molto poco conosciuto dalla popolazione – il 76% della popolazione italiana non lo ha mai sentito nominare – e anche dagli stessi lavoratori – il 38% di chi lavora lo conosce, il 62% no. Inoltre emblematicamente il livello di conoscenza si alza presso le categorie più formate   imprenditori, dirigenti, giornalisti (57%) e si abbassa presso gli operai (20%)

Eppure, una volta spiegato, l’articolo risveglia l’interesse presso molti, lavoratori e non: il 75% della popolazione e il 77% dei lavoratori lo trova importante. Inoltre tra i lavoratori la componente che lo ritiene molto interessante sale dal 21 al 33% ,  relativamente a chi già conosce l’articolo, mentre nella popolazione si passa dal 22 al 38% nella fascia d’età 18-34 anni.

Si è di fatto raccontato che questo articolo stabilisce il diritto dei lavoratori alla partecipazione alla gestione delle imprese. Partecipare allo scambio di informazioni aziendali, alla governance con una parte dei rappresentanti dei lavoratori, agli utili dell’impresa, al possesso di azioni delle aziende quotate.

Tuttavia, nonostante ciò, i lavoratori fanno fatica a realizzarne la piena applicabilità nel posto di lavoro: il 21% dei lavoratori sarebbe molto favorevole all’attuazione dell’articolo, il 27% contrario.Si prefigura poi una partenza in ‘punta di piedi’, iniziando dalla partecipazione a livello informativo (39%), poi da quella economica (25%), da organizzativa (20%) e, da ultimo, dalla partecipazione finanziaria (16%).

L’articolo è dunque un concetto da spiegare bene, ma soprattutto da valorizzare nella sua portata pratica e da declinare nei suoi vantaggi concreti per il lavoratore: la percentuale dei favorevoli alla sua applicabilità passa, infatti, dal 21% del totale lavoratori al 35% tra chi lo conosce già, mentre quella dei riluttanti scende dal 27% all’8% tra i conoscitori.

Quanto sopra evidenzia l’impatto che nel corso dei decenni ha avuto un movimento sindacale gestito, monopolizzato e controllato dai fautori del conflitto di classe e delle dirette conseguenze di ciò, che ad oggi vedono l’incapacità ad adottare nuove strategie a fronte del fallimento delle soluzioni a Socialismo reale. In realtà, considerando le tante le forme di Partecipazione, Codeterminazione, Cogestione presenti in Europa, non si può negare che queste non risultino essere  strumenti idonei a strutturare la  Rappresentanza degli interessi nel Mondo del Lavoro e valutarne l’estensibilità anche al lavoro autonomo, alle professioni, alle Arti, al Terzo Settore, che hanno identiche esigenze. In un periodo di “Società liquida”, che vede la crisi forse irreversibile di certo associazionismo, come di certa partitocrazia,  dove appare in tutta la sua drammaticità la capacità non solo di pressione, ma anche di controllo ed indirizzo   delle istituzioni, da parte  di lobby poco trasparenti, espressione non democratica di interessi particolari,  forse sarebbe opportuno cominciare a rivalutare scelte corporative, nella loro accezione più corretta, democratica ed organica. Forse sarebbe   necessario rivedere desuete istituzioni ottocentesche collegate ad una asfittica democrazia parlamentare, che risente della ormai palese incapacità dei partiti di canalizzare corrette e reali forme di partecipazione popolare, ridando al cittadino quella capacità di sentirsi realmente rappresentato, di poter incidere sulle scelte della sua rappresentanza, di poter realmente “partecipare” sia alla gestione dell’azienda, che a quella della Nazione

La sicurezza sul lavoro

Passiamo ora ad un altro tema indagato dalla ricerca, anche in questo caso in ottica di coinvolgimento e partecipazione, si tratta della sicurezza nei luoghi di lavoro. Tema drammaticamente portato all’attenzione generale da una terribile recrudescenza di morti e gravi infortuni sul lavoro

Agli intervistati sono stati presentati dati ufficiali, pubblici e molto diretti sul tema della sicurezza.

“In Italia la media degli infortuni sul lavoro è questa: un ferito al minuto, un morto ogni otto ore, in media, quindi, 3 morti al giorno sul luogo del lavoro”

Ancora pochi sono pienamente consapevoli dei dati reali e della rilevanza drammatica degli infortuni sul lavoro, anche tra gli stessi lavoratori: il 61% della popolazione e il 49% dei lavoratori non era a conoscenza di questi dati.

A ben vedere, la potenza di questo fenomeno si scarica tutta sul livello di preoccupazione. Sensibilizzati sulla tematica, praticamente tutti dichiarano la propria apprensione sul tema: fortissima per più di un lavoratore su due (57%), forte per tutti gli altri. Un tema che, se compreso nella sua portata, coinvolge quindi in modo massivo e massiccio tutti gli individui.

La maggioranza dei lavoratori si sente, tuttavia, abbastanza confidente rispetto all’attenzione ai temi della sicurezza prestata nel luogo dove lavora: il 26% la ritiene positiva, il 57% abbastanza soddisfacente. Tuttavia, il 17% dei lavoratori esprime la propria sfiducia su questo aspetto e questa situazione raggiunge picchi molto più alti presso le categorie più coinvolte: il 55% degli operai, di fatto, valuta negativamente l’attenzione prestata dalla propria azienda ai temi della sicurezza sul lavoro.

La questione è talmente rilevante che la volontà di contribuire in modo positivo e attivo al miglioramento dello stato attuale delle condizioni della sicurezza sul lavoro è molto alta: un lavoratore su due (49%) dichiara che potrebbe certamente fare qualcosa in più/qualcosa di diverso per aumentare/migliorare lo status quo.

Questa presa di posizione orientata a un coinvolgimento personale risulta dunque un terreno fertile per favorire l’adozione di pratiche più sicure, investire sulla formazione e sull’addestramento dei lavoratori, valorizzare le best practice, incrementare la comunicazione sul tema. Non bisogna infine dimenticare che forse sarebbe opportuno che oltre al Rappresentante dei lavoratori per la Sicurezza, le stesse organizzazioni sindacali assumessero un ruolo partecipativo e nel contempo strategicamente influente     

Retribuzione

Le dinamiche salariali sono state ferme per oltre vent’anni e solo una forte impennata inflattiva ne  ha permesso una ripresa con  seppur parziale recupero salariale. Negli ultimi trent’anni le retribuzioni sono scese in termini di potere di acquisto e siamo il fanalino di coda dell’Europa. Inoltre a fronte di questo palese fallimento delle strategie sindacali, fin troppo lige al rispetto di una linea strategica volta al mantenimento di bassi livelli salariali e alla accettazione che la produttività fosse solo incrementabile attraverso la moderazione o l’assenza di aumenti retributivi, la remunerazione del Top Management ha visto incrementi spropositati e neanche motivati da una qualche “rischio d’impresa” Tra fringe benefit , bonus, stock grant, versamenti in conto previdenza, incentivi vari, compensi per le numerose e sovrapponibili cariche in società collegate e consigli di amministrazione di controllate, i Manager privati e pubblici hanno racimolato cifre da capogiro che, seppur non raggiungano gli ormai famosi 26 milioni del defunto ex amministratore FIAT Sergio Marchionne, che il caso Stellantis ha riportato agli onori della cronaca, sono sempre a sei cifre    

Per più di un lavoratore su due (il 58%) la retribuzione attuale è percepita inadeguata alla propria mansione / anzianità di servizio. La percezione negativa sale ulteriormente presso i lavoratori dipendenti: tocca il 65% degli impiegati, per arrivare al 75% tra gli operai.

Ancora più critica la percezione sull’andamento del potere d’acquisto degli ultimi anni: in questo caso, quasi il 70% degli individui accusa una perdita del proprio potere d’acquisto.

La criticità si conferma presso i lavoratori dipendenti (76%) e soprattutto tra gli operai (87%), interessante il dato del 73% per la fascia d’età dai 35 ai 54 anni, che maggiormente hanno risentito nella loro vita lavorativa della stagnazione delle retribuzioni.

La situazione pone i cittadini di fronte a delle rinunce.

Prima di tutto si cominciano a sacrificare le spese accessorie, ancorché legittime: rinunciare a fare una vacanza è la prima scelta di chi accusa una riduzione del suo potere d’acquisto.

Poi si passa a rinunciare a comprare un’auto e, messi alle strette, anche a investire per i figli, e questo vuol dire potenzialmente sacrificare il futuro delle nuove generazioni, comperare una casa, bene primario per il ceto medio, ricordiamo che oltre l’80% degli italiani è proprietario direttamente o indirettamente dell’immobile ove abita,  fino ad arrivare alla rinuncia di cose fondamentali come il diritto alla salute: il 15% rinuncia alle spese per visite mediche/cure sanitarie, dato che sale al 40% tra i pensionati andando ad intaccare una delle categorie di persone teoricamente più bisognosa di queste attività.

Una difficoltà che va dunque ad aggiungersi ad altre difficoltà.

A cura di Ettore Rivabella

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *