UNA RISPOSTA A ILARIA SALIS

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

Gentile Sig.ra Salis,
Ho letto che in questo giorno di festa lei ha indirizzato, dalla triste condizione dove si trova
costretta, una lettera al suo Paese. Proprio così, ha scritto “sono orgogliosa che nel mio Paese tutti
gli anni si ricordi…” utilizzando addirittura la maiuscola. La sua, me lo lasci dire, è stata una bellissima iniziativa. Pensare dall’esilio all’Italia in termini così elevati è degno di pochi, di pochissimi, patrioti. Forse bisogna ridiscendere fino al Risorgimento per trovare esempi analoghi. D’altra parte, che lei sia una che crede davvero in quello che fa, bastano le sue vicende personali a dimostrarlo. Con quanta passione ha tentato di far cambiare idea a quelli che insistono a pensarla diversamente da lei e dalla stragrande maggioranza dell’umanità! Ma non voglio parlare di quello. Voglio sinceramente sottolineare i contenuti della sua lettera in occasione del 25 aprile, come ho potuto leggerla su internet. Lei auspica che il suo Paese “si mostri tutti i giorni all’altezza della propria storia”. Su questo, mi permetta, siamo proprio d’accordo. Tutti noi vorremmo che l’Italia oppure, uscendo per un attimo dal nostro provincialismo ed allargando la visione su un orizzonte più vasto, la comune Patria (uso anch’io la maiuscola per determinate espressioni) di tutti i popoli europei, fosse all’altezza della propria storia plurimillenaria. E sa cosa le dico? Molto probabilmente anche quegli uomini e quelle donne che ottanta e più anni fa stavano dalla parte da lei criticata, lo facevano perché pensavano di fare qualcosa proprio per riportare l’Italia e l’Europa, questa terra che così intensamente e disinteressatamente amavano e che assai poco li ha ricompensati, all’altezza della propria storia. Quello che possiamo dire con certezza analizzando serenamente i fatti storici è che, negli ultimi ottant’anni, vale a dire dopo la sconfitta di quegli uomini, tale situazione di adeguatezza del ruolo storico rivestito, sinceramente non si è verificata.
Spero che anche su questo ci troveremo d’accordo. E non è finita qui. Lei si augura che, oggi come in passato, il suo Paese “voglia opporsi all’ingiustizia del mondo e schierarsi dalla parte giusta della storia”. Anche alcune settimane fa avevo letto che lei si sentiva “dalla parte giusta”, esprimendo evidentemente una sua profonda convinzione. E qui, mi permetta di essere sincero, per questa tetragona certezza io la invidio, la invidio tantissimo. Io che ho passato la mia esistenza a pormi domande e ad affrontare dubbi, incertezze e quasi sempre ho sbagliato nelle decisioni prese, si figuri se non la invidio! E specialmente quando, da giovani, al Liceo studiavamo la storia, sa quante volte mi sono posto la medesima domanda, se avesse davvero ragione il personaggio o il popolo trionfante o se, invece, anche lo sconfitto avesse avuto le sue buone ragioni per comportarsi in un certo modo, se non fosse anche stato lui in buona fede e se, in fondo, molte volte la decisione finale non fosse stata rimessa al destino che aveva voluto certe circostanze piuttosto che altre. In ogni caso, come Antigone, secondo un topos della nostra cultura, occorre avere pietà e rispetto anche per gli sconfitti. Ma, mi lasci dire, i più ammirevoli di tutti e suoi degni predecessori, sono stati quelli che, come lei oggi, ottanta anni fa hanno avuto le coordinate giuste per scegliere quella che doveva ancora dimostrarsi “la parte giusta”. Già… loro, in quel momento, mica lo sapevano con certezza qual era quella parte. Pensi un po’ se davvero ci si fosse messo il destino e le cose, per un accidente qualsiasi, fossero andate a finire diversamente. E allora, mi chiedo (lo vede come son fatto? Ancora dubbi…), la “parte giusta” sarebbe rimasta tale oppure, si sarebbe rovesciata la scena e, con un colpo a sensazione, tutto sarebbe mutato e sarebbe automaticamente diventata “parte sbagliata? E, magari, i libri di storia avrebbero avuto contenuto diverso, opposte considerazioni. Gli autori famosi moderni, lautamente ricompensati, avrebbero scritto e letto monologhi diversi in televisione. Sarebbe stato un bel problema, non crede anche lei? E, allora, non sarebbe meglio dedurre che, negli avvenimenti umani, forse non ci sono “parti giuste” o “parti sbagliate”, che tutto non si può sempre ridurre ad una semplicistica logica binaria, ma ci sono uomini e donne che vivono, che pensano, che agiscono e che sbagliano, purtroppo molte volte sbagliano, ma che lo hanno fatto pensando davvero di fare la cosa più giusta ed appropriata per il loro Paese, per la loro comunità? E, ancora, non dovremmo tutti quanti convincerci che la Storia (anche questa volta mi permetto la maiuscola) va avanti indipendentemente da noi e prosegue lungo i propri binari il più delle volte imperscrutabili per la maggior parte dei contemporanei? E, infine, non dovremmo concludere che sbagliamo in maniera stupida se continuiamo a voltarci indietro, oltretutto soltanto per trovare i motivi che tengano unito il nostro clan che altrimenti sarebbe già imploso da tempo, correndo, tra le altre cose, il rischio di andare a sbattere in questo presente tanto complicato? Sono convinto che lei, nelle sue certezze, non si è mai posta questi quesiti e, di certo, questo atteggiamento, mi permetta, rende tutto più semplice. Immagino che lei non leggerà mai queste mie parole ma, nella convinzione che sulla sua vicenda giudiziaria le uniche a dover decidere siano le autorità ungheresi, le invio i miei auguri di poter presto rientrare nel Paese che così tanto ama. Come lo amo io e come lo amano tutti quelli che, allora come oggi, si sarebbero schierati da quella che lei definirebbe “parte sbagliata”.
Cordialmente.

Enrico Desii

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