Che fine ha fatto la critica al Capitale ed al modello economico-sociale capitalista? E’ diventata demode’ o semplicemente inutile? E non parliamo solo della critica di sponda marxista , divenuta oramai residuale, ma anche di quella che si soleva ricondurre all’ambiente di “destra” nella sua piu’ generica accezione.
Sembra ormai che il modello sia ormai dato per acquisito e inscalfibile, aldila’ delle solite critiche “ a la page” di qualche intellettuale annoiato dalla vita o di qualche strepito “anticapitalista” gridato da qualche gruppo di adolescenti in cerca di selfie di piazza.
Ma la questione resta sullo sfondo e rimane il macigno storico con il quale confrontarsi anche e forse soprattutto oggi: anche perche’ tutte le tematiche con cui ci si confronta oggi dipendono proprio dal modello capitalista non piu’ riducibile esclusivamente a fenomeno meramente economico .
A poco valgono le classiche critiche al “globalismo” odierno, visto che il Capitale ha sempre avuto per vocazione, uno spirito “animale” che trascende Stati, confini , appartenenze etc, soprattutto quando questi considerati da alcuni come fattori “ostativi” allo sviluppo delle forze produttive, sono ridotti da tempo a simulacri di se’ stessi.
Ancor meno la classica invocazione di un maggior controllo e gestione da parte dello Stato del capitalismo, che si è rivelato del tutto aleatorio, in assenza di una concezione statuale alternativa a quella liberale, che , invece aiuta e favorisce l’espansione del Capitale ed al massimo nel secolo scorso, aiutava le aziende nazionali ad emergere nella competizione sui mercati internazionali.
Sono palliativi che nascondono la debolezza di fondo e l’assenza di analisi che ci raccontano una realta’ diversa: e cioe’ che gli Stati liberali servono al capitalismo e viceversa in un’ interscambio di ruoli teso a mantenere un minimo di coesione sociale in un panorama di cambiamenti profondi, in cui, irrompe prepotentemente l’AI e il “Panopticon” della societa’ digitale con tutti i suoi annessi.
Ancora una volta , il Capitalismo e le sue rivoluzioni/ristrutturazioni.
Quindi posto che non esiste da parte nostra , nessun rimpianto di quando il capitalismo aveva una vocazione” nazionale”, il che è gia’ un ossimoro, appare evidente che oggi crogiolarsi in questa visione “bucolica” sia veramente imperdonabile e che il caleidoscopio ci presenta un’altra realta’ in cui non solo Il capitale è completamente interconnesso, ma che lo sono mentalmente miliardi di persone sul pianeta.
Quando diciamo “mentalmente” parliamo di quell’immaginario desiderante che costituisce il substrato di ambizioni, desideri, aspirazioni e proiezioni che oggi in tutto il mondo accomunano milioni di persone che , in una dimensione di spazio, si situano in paesi e Continenti diversi, ma in senso “temporale” hanno lo stesso “immaginario desiderante”.
Anche il panorama di coloro che si definiscono “identitari” non è immune da questo immaginario, perche’ comunque lo vive e lo respira e non potrebbe essere altrimenti, ma soprattutto perche’ è su quale identita’ si vuole assumere che si gioca la partita vera.
E la partita vera, non puo’ prescindere dal presentare una visione alternativa dell’Uomo, dello Stato e del modello economico sociale , pena non solo non capire chi e che cosa si difende, ma soprattutto fungere da parziale correttore delle presunte “storture” di un sistema che in realtà funziona benissimo per “crisi” e “storture”.
Neppure il richiamo al passato più glorioso ed archetipico, in realtà ,puo’ fungere da ancora di salvataggio, se non rettamente inteso come punto di partenza per la rimodulazione attuale di un modo di pensare altro rispetto all’immaginario prodotto dal Capitale ( oggi è questo il suo piu’ grande plusvalore), anzi può pericolosamente assecondare fughe ed isolamenti dalla realta’,in guisa dell’utilizzo, non proprio utile, di Tolkien e delle sue saghe in vari momenti storici.
E’ ora , invece, di smetterla di usare termini che provocano equivoci come “globalismo”,
“mondialismo” e simili amenità linguistiche per riprendere una severa e rigorosa critica al Capitale ed capitalismo, alle sue fasi di accumulo, sviluppo e al modo di produzione che oltre a provocare le crisi che possiamo vedere sullo scacchiere internazionale, è anche la struttura portante che provoca l’immigrazione massiccia dal Terzo e Quarto Mondo , l’emergenza climatica e lo sfruttamento intensivo di ogni risorsa disponibile sul pianeta.
In questo abbiamo degli illustri predecessori quali Giovanni Gentile ed Ugo Spirito che con raro rigore scientifico e senza scomodare maghi, maghetti ed elfi o i tempi andati, hanno costruito pensieri alternativi reali e realistici da porre in campo. Se il capitalismo è “realista “ come spiega brillantemente Mark Fischer nel suo libro “Realismo Capitalista” la sua alternativa non puo’ sembrare “irreale” e non praticabile, con formule confuse ed astratte : parimenti se il capitalismo costruisce “desideri “ e “sogni” che abbracciano il globo, non si puo’ pensare di contrapporre ad esso una sterile rivendicazione di “identita’” che nella loro essenza non esistono piu’ , ma bisogna saper contrapporre una solida visione del mondo che parta da una controcultura reale ed esistente.
Dobbiamo, quindi, rappresentare un momento di rottura con la filosofia, con l’economia ed anche con il pensiero corrente : in qualche modo, dobbiamo ricostruire un Pensiero.
“Questa è forse la maggiore profondità di Nietzsche, la misura della sua rottura con la filosofia: aver fatto del pensiero una potenza nomade. E anche se il viaggio è immobile, da fermo, impercettibile, imprevisto, sotterraneo, dobbiamo chiederci quali sono oggi i nostri nomadi, chi sono veramente i nostri nietzschiani.”
(Dall’intervento di Deleuze al convegno di Cerisy-La-Salle)
REDAZIONE KULTURAEUROPA