In data 9 febbraio, a ridosso del Giorno del ricordo, è stata trasmessa sul Canale Rai Storia (Rubrica “Passato e Presente”) una puntata dedicata alla “Questione Adriatica” fra il 1943 e il 1945. Conduttore Paolo Mieli, già allievo di Renzo De Felice, ma, soprattutto, esponente, in anni lontani, che sembrano, purtroppo, riproporsi oggi, dell’organizzazione antifascista Potere Operaio.
Nel corso della trasmissione sono state espresse più volte, e in modo non ipotetico o dialettico, espressioni quali, a titolo d’esempio, “l’Istria, più che Italia, era zona occupata” o “bisogna fare una distinzione sugli Italiani presenti in quei territori: non confondere le popolazioni locali con i fascisti”. Ovviamente la tragedia delle foibe e dell’esodo è vista come conseguenza di non specificati crimini di guerra commessi dal Regio Esercito in area balcanica.
Un’impostazione di questo tipo, ci permettiamo di dire, non è di ordine storico, il suo perimetro è politico: la lezione defeliciana, volta ad inquadrare gli eventi del passato in termini di analisi storiografica, escludendo, per metodo, riferimenti di tipo moralistico o ideologico, ormai risulta del tutto disattesa. Un passo indietro di qualche decennio, da parte dell’informazione pubblica che dovrebbe essere, appunto, come nel caso della rubrica di Mieli, dedicato alla Storia, e non ad un’opera di un non dichiarato indottrinamento.
Perché indottrinamento? Procediamo con ordine. Affermare come dato oggettivo che la presenza di un’autorità statuale come la Repubblica Sociale, rappresentasse tout court un regime di occupazione ai danni delle popolazioni locali, porta a delle logiche conseguenze, ammesso che la logica abbia ancora un senso per un pubblico avvezzo a slogan e luoghi comuni non motivati, ripetuti all’infinito. Dunque: i partigiani comunisti titini hanno “liberato” dal nazifascismo l’Istria, la Dalmazia, Fiume e la Venezia Giulia tenute sotto scacco dalle truppe della RSI e dai nazisti. Le uccisioni indiscriminate di Italiani vanno intese quali normali atti di difesa e di risposta alle angherie subite dagli slavi. La responsabilità di quei tragici eventi è pertanto da attribuire in toto al Fascismo, così come i bombardamenti, che causarono in Italia, anzi, nell’Italia “occupata”, decine di migliaia di vittime civili e immani distruzioni materiali. I reparti repubblicani che, come la X Mas, difesero fino agli ultimi giorni di guerra i confini nord-orientali della penisola, evitando che i gloriosi partigiani slavi si appropriassero di Trieste, Gorizia e del Friuli, erano forze reazionarie al soldo del Reich che nulla avevano a che fare con la vera Italia.
In effetti, queste tesi, storicamente del tutto infondate, decontestualizzate e aprioristiche, sono identiche a quanto sostenuto dalla ex Jugoslavia e ripreso pedissequamente da vasti ambienti partigiani o neopartigiani in Italia. Opporsi al paradiso titino significava essere nostalgici del Fascismo, e quindi non aver diritto di parola, e nemmeno di esistere. Chi non si allinea con la “Verità” narrata diventa un obiettivo da colpire, metaforicamente o meno, indegno di umanità, fuori dalle garanzie costituzionali.
Oggi sembra che la storia si stia ripetendo. In modo ossessivo si denunciano fantasmatici rigurgiti fascisti con un crescendo che nulla ha da invidiare agli anni ’70. Questo non solo in Italia, ma in diversi altri paesi europei. Basti vedere le vicende legate alla “banda del martello” e ai suoi accoliti nostrani, protetti dall’antifascismo di sinistra e di destra, come insegna il caso Salis. Basti vedere il quotidiano odio riversato contro qualsiasi attività di commemorazione di caduti, di dileggio della memoria di chi ha combattuto in nome di un antico senso dell’onore e della dignità. Basti constatare il disprezzo, da parte di una sedicente intellighèntsia che si erge a baluardo della democrazia antifascista, di qualsivoglia pensiero critico così come di qualsiasi serena valutazione del passato storico. Basti rendersi conto dei continui piagnistei e del vittimismo di ambienti che si ritengono, per atto di tipo fideistico, intoccabili, a fronte della minima contestazione nei loro confronti.
Ed è proprio l’antifascismo ad essere, in fondo, l’unico collante possibile per una sinistra neopartigiana diventata una ridicola parodia di sé stessa. E, a ben guardare, la stessa destra di governo, col suo consueto complesso di inferiorità, con le continue condanne dell’orribile ventennio, di ogni suo aspetto e di ogni suo simbolo, sta avallando le posizioni dei suoi stessi avversari. In fondo, non si tratta di una novità. Anche dopo l’otto settembre, ai tempi di Badoglio e della collaborazione col nemico del giorno prima, esisteva un nesso con ambienti partigiani. Noto il sostegno dell’aeronautica del Regno del Sud alla “resistenza” di Tito nel nome di una vergognosa resa incondizionata di cui ancora oggi paghiamo a caro prezzo le conseguenze.
In conclusione: siamo dominati da una continua mistificazione e da false bandiere. Urge, dunque, quanto meno, la necessità di un’opera, magari oscura, ma tenace, volta a denunciare questo stato di cose, prima che sia troppo tardi.
Giuseppe Scalici