Il significato letterale del termine “propaganda” indica “ciò che deve essere diffuso” Non è in questione il vero o una semplice e oggettiva descrizione del dato di fatto, ma la rappresentazione di questo indirizzata al rafforzamento di equilibri voluti da chi detiene una posizione di egemonia, sia essa economica, politica, ideologica etc.

Facile vedere, per chiunque sia animato da uno spirito critico e indipendente, che la nostra epoca, descritta come “democratica”, utilizzi, in modo palese o subliminale, gli strumenti di un continuo martellamento volto a controllare e ad orientare, a tutti i livelli, il linguaggio, il pensiero, la morale e i comportamenti pratici di ogni individuo, in teoria, stanti i principi della democrazia stessa, dotato di libero arbitrio, autonomia e consapevolezza esistenziale. 

Il soggetto che detiene i mezzi di informazione, il “sistema”, potremmo dire, detta una “narrazione”, per utilizzare un’espressione oggi in voga, che non può esser messa in discussione: viene presentata come qualcosa di eterno, naturale e necessario. È l’imposizione di una logica mistificatoria, di un rumore di fondo assordante che impedisce, di fatto, qualsiasi forma di opposizione.

L’individuo gode di una parvenza di libertà nel mondo virtuale dei “social”. Il suo linguaggio è impoverito; l’espressione è di norma ridotta a slogan; il lessico distorto dal politicamente corretto; il passato storico travisato, falsificato e, all’occorrenza riscritto.

Tutto ciò porta a omologazione, conformismo, prevedibilità. Sembra un paradosso, ma appare sempre più evidente, che proprio la democrazia, o post-democrazia, abbia realizzato un totalitarismo, nel senso deteriore del termine, compiuto. L’apparato egemone non ha nemmeno bisogno di un’aperta repressione, anche se sempre presente come possibilità, contro qualsiasi forma di pensiero che voglia superare, in termini rivoluzionari, lo stato di fatto.  È l’individuo stesso a farsi complice inconsapevole, in una sorta di sindrome di Stoccolma, di chi lo vuole schiavo, privo di identità, radici e cultura.

Jacques Ellul, tra i più influenti sociologi del secolo scorso, ha pubblicato, nel 1962, un testo accademico, Propaganda, i cui contenuti appaiono oggi, a distanza di decenni, ancor più chiari ed illuminanti. Il pensatore francese si sofferma sulle tecniche di condizionamento dell’opinione pubblica attraverso, appunto, la propaganda di regime, soffermandosi in primo luogo sull’approccio mistificatorio volto ad un sistematico “lavaggio del cervello” dei regimi totalitari del Novecento, in modo particolare quello nazionalsocialista e quello del comunismo sovietico. Ellul ammette che anche la “democrazia liberale” ha una sua propaganda, questa volta da intendersi, invece, in senso positivo e volto al bene della società e dei suoi fortunati membri.

Correttamente lo studioso nota che la prassi propagandistica è una tecnica, che non poco ha in comune con le strategie di guerra. È il regime, di qualunque colore esso sia, a porsi come il migliore e a tentare di conquistare ogni altro terreno ideologicamente nemico. Quindi, deduciamo, la vittoria apparterrà al più forte in senso materiale, indipendentemente da ogni considerazione di carattere etico. I regimi criminali, dunque, ma questo Ellul ovviamente non lo afferma, sono quelli che hanno perso la guerra. Chi l’ha vinta, detto per inciso, grazie ad una bizzarra, ma totale alleanza fra sovietismo e capitalismo liberal-democratico, ha determinato una spartizione del mondo in zone di influenza apparentemente ostili (scissione fra mondo libero e regimi comunisti), ma accomunate da una identica visione generale basata sul dominio dell’economico, sulla mercificazione umiliante di ogni entità, essere umano compreso, sulla negazione e, al bisogno, criminalizzazione di ogni posizione alternativa, di ogni terza forza. Ne consegue che il sogno orwelliano di un controllo totale trovi proprio nel nostro presente post-democratico, post-moderno, privo di qualsivoglia riferimento ad istanze superiori, privo di volontà autentica d’affermazione assoluta, il proprio coerente compimento.

Tutto, dunque, assume la tinta della propaganda, della mistificazione, di una rappresentazione falsata e precostituita dai custodi dello status quo.

Naturalmente, per Ellul, la propaganda “democratica” deve essere veridica, come presso gli americani, anche perché, in questo modo essa risulta essere vincente e appagante

La rappresentazione ufficiale che ci circonda, peraltro, ci sembra, come molte volte abbiamo avuto modo di sottolineare, tutt’altro che orientata verso la verità, ma verso l’imposizione blanda o violenta, di schematismi che è obbligatorio far propri, pena la marginalizzazione, la “cancellazione”, la repressione di ideali e valori non conformi.

È lo stesso sociologo che, seppur di sfuggita, lo ammette:

«Ciò che caratterizza la democrazia è che essa autorizza l’espressione a propagande di tendenze opposte. Ciò è vero. Eppure non è possibile permettere a tutte le opinioni di esprimersi! Le idee aberranti e immorali sono legittimamente censurate. Le opinioni puramente individuali e ancor più alcune tendenze politiche sono necessariamente escluse.»

Dunque, se la logica ha ancora un senso, la democrazia esclude ogni tipo di posizione non riconducibile alla propria, peraltro fluida, relativistica e cangiante, essenza.

Pensa come vuoi, ma pensa come noi… Una palese contraddizione, ma di certo questa denuncia è un’opinione antidemocratica. Viviamo nel regno del sofismo, in una sorta di continuo teatro dell’assurdo.

Compito di un’autentica avanguardia rivoluzionaria è, in primo luogo, smascherare la “veridica e buona propaganda” con i suoi asfissianti miasmi.

Giuseppe Scalici

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