Il 27 ottobre l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una Risoluzione sulle continuate violazioni del Diritto internazionale umanitario, da parte di Tel Aviv, nella campagna militare condotta ai danni delle popolazioni palestinesi. Titolo, molto esplicito, è: Azioni illegali di Israele nella Gerusalemme Est occupata e nei territori occupati di Palestina.
Tale risoluzione, volta alla richiesta di una tregua per bloccare il massacro di civili e consentire l’ingresso di aiuti a Gaza, presentata, a nome di molti Stati arabi e islamici, dalla Giordania, ha ottenuto 120 voti a favore, 14 contrari, 45 astensioni. Una mozione presentata dal Canada, per condannare senza appello Hamas, non ha ricevuto il consenso dell’Assemblea.
Furiosi i commenti ufficiali di Israele, che ha votato contro la Risoluzione, insieme, fra gli altri, agli Stati Uniti e ad alcuni Paesi dell’Unione Europea, quali l’Austria, l’Ungheria, la Repubblica Cèca, l’Ungheria e la Croazia. Così si è espresso il ministro degli esteri Eli Cohen: «Spregevole appello per un cessate il fuoco… quando Israele vuole agire per cancellare Hamas, come il mondo ha agito contro l’Isis o il nazismo».
Sulla stessa linea l’ambasciatore israeliano presso il Palazzo di vetro, Gilad Erdan, il quale ha stigmatizzato «il giorno buio, dell’infamia per l’Onu che non ha più un briciolo di rilevanza o legittimità». Peraltro, le Risoluzioni dell’Assemblea non hanno un valore vincolante, ma orientativo. Vincolanti, infatti, dovrebbero essere le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, che, stando all’articolo 24 dello Statuto Onu, assume la “Responsabilità principale in ordine al mantenimento della pace e della sicurezza delle Nazioni”. Esso può, tra l’altro, secondo l’articolo 42, imporre embarghi, o promuovere operazioni di polizia internazionale contro uno Stato colpevole di “aggressione, minaccia alla pace, violazione della pace”. Sembrerebbe il caso di specie.
Tuttavia, come è noto, l’attività del Consiglio di Sicurezza è resa, di fatto, vana, visto l’istituto del “veto”, introdotto, per motivi facilmente comprensibili, di controllo e spartizione del mondo in aree di influenza, per volontà di W. Churchill, H. Truman, I. Stalin. Quindi Israele, dato il sostegno degli Usa, membro permanente, si trova, in ogni caso, in una botte di ferro…
Ma torniamo alla Risoluzione del 27 ottobre. L’Unione Europea ha votato in ordine sparso: alcuni Paesi, come si diceva, hanno espresso voto contrario; altri, come Francia, Spagna, Portogallo, Belgio, Irlanda, Lussemburgo e Malta hanno votato a favore; i rimanenti, Italia compresa, si sono astenuti. Decisione pilatesca, motivata dal ministro Tajani, in quanto l’Atto si presentava squilibrato, privo di un’esplicita condanna del terrorismo di Hamas, e insensibile al “diritto alla difesa di Israele”, formula, quest’ultima ripetuta come un triste mantra, volta a giustificare qualsiasi vessazione contro la popolazione civile palestinese, così come qualsiasi atto illegale e contrario alle norme di guerra di Tel Aviv, dagli Anni 40 fino ad oggi, con la conseguente destabilizzazione dell’intera area vicino e medio orientale.
Guardando al passato è il caso di ricordare che sono state approvate dalle Nazioni Unite oltre 70 Risoluzioni contro le politiche di Israele nei confronti dei territori di Palestina, su pesanti violazioni del Diritto internazionale e di svariati crimini perpetrati fin dalla proclamazione unilaterale dello Stato, sia da parte delle forze armate regolari, sia, come continua ad avvenire anche mentre stiamo scrivendo queste brevi note, da parte dei cosiddetti coloni in Cisgiordania e altrove.
In teoria esiste un’Autorità Nazionale Palestinese, la quale però è condannata ad una sudditanza totale nei confronti dei governi israeliani che controllano manu militari ogni aspetto di un’entità nominale, priva di qualsiasi forma di sovranità, di indipendenza, di continuità territoriale.
Scandalo grave hanno suscitato, e non solo in Israele, le recenti dichiarazioni del Segretario generale delle Nazioni Unite Guterres, il quale, pur condannando le criminali azioni di Hamas contro civili israeliani, ha affermato che l’inescusabile violenza terroristica del 7 ottobre non è “venuta dal nulla” ma da una situazione che finora la comunità internazionale non è riuscita a controllare e regolare. Situazione di illegalità, sottolineata anche dalla portavoce dell’Ufficio Onu per i diritti umani, la quale parla di “crimini di guerra” continui da parte di Israele nella striscia di Gaza e di volontà di infliggere una “punizione collettiva per tutti i suoi abitanti”. Necessaria, quanto meno, una tregua per fermare i massacri, come sostenuto anche dall’Alto rappresentante Ue per la politica estera e la sicurezza Josep Borrell, come da altri esponenti europei.
Ad oggi le vittime civili palestinesi a Gaza e negli altri territori superano le 8300 unità, di cui almeno 3400 minorenni, in un contesto di orrori, in cui vengono quotidianamente bombardati edifici residenziali, ospedali, moschee, chiese cristiane e campi profughi. Come nel caso di Jabalia, colpito da Israele in data 31 ottobre con missili di produzione statunitense, dove è ancora impossibile contare i morti e i feriti, che comunque sono, purtroppo, nell’ordine di centinaia.
La Storia ci ha fatto comprendere che le affermazioni e le dichiarazioni d’intento, se non supportate da atti politici e, all’occorrenza militari concreti, rimangono lettera morta.
Continuare a negare ai Palestinesi il diritto a vivere con dignità in uno Stato sovrano con tutte le sue prerogative, significa alimentare situazioni di palese illegalità e soffiare sul fuoco di reazioni di devastante portata.
REDAZIONE KULTURAEUROPA