Per quali ragioni dovremmo pensare all’Unione Europea come a un possibile Stato federale?
Le ragioni, naturalmente, sono storico-concrete. L’amministrazione di un sub-continente non è garantita a sufficienza dalle forze di occupazione statunitense che si sono limitate a sostenere –potentemente- l’integrazione dei mercati europei fin dal 1945, ma, logicamente, non hanno alcun interesse all’integrazione politica del sub-continente, cioè a fare sorgere un attore internazionale statale. Con 284 basi militari nel sub-continente, l’essenziale, per l’Alleanza Atlantica è garantito. Le questioni specificamente europee, più pressanti, come il costo unitario del lavoro, la fiscalità unitaria, la gestione comune dei flussi migratori e una politica estera coerente esulano dai piani dell’Alleanza Atlantica.
Tuttavia, queste considerazioni sono considerazioni della pura ragione, sono le logiche soluzioni di problemi per i quali, concretamente, non c’è soluzione. La logica della politica e la concretezza politica non si contraddicono nemmeno: si ignorano a vicenda. Perché manca il soggetto politico europeo, il soggetto politico che trasformi la logica politica in realtà politica. Un soggetto politico è fatto di interessi concreti. Esistono interessi concreti europei? Oppure gli Investimenti Diretti Esteri e le delocalizzazioni delle produzioni rendono inconsistente l’espressione stessa “interessi concreti europei”? Esiste un mercato europeo da difendere? Se esso esiste, per quali settori merceologici esiste? In quali rapporti si trova con l’intelaiatura militare dell’Alleanza Atlantica?
In sostanza: l’Europa è soltanto un’idea?
Eppure un processo concreto esiste da oltre settant’anni: l’integrazione europea. La sua storia, tra il 1945 e il 1989, è la storia del consolidamento economico dell’occidente statunitense in funzione anti-sovietica. Con l’abbattimento del “muro di Berlino” le cose cambiano. Per l’Alleanza Atlantica si apre un grande spazio a est di Berlino e uno spazio, altrettanto grande, per la Comunità Economica Europea: il mercato europeo può espandersi oltre l’ex-“cortina di ferro” e i presìdi militari dell’Alleanza Atlantica possono estendersi ben oltre quanto si sarebbe sperato fino a qualche anno prima (nonostante i dubbi di Andrej Amal’rik nel suo Sopravviverà l’Unione Sovietica fino al 1984? e le previsioni di Ugo Spirito, La fine del comunismo).
La crescita dell’Europa
La riunificazione tedesca (1990) ha creato il problema di una possibile egemonia tedesca; per risolvere il presidente francese Mitterrand, il cancelliere tedesco Kohl, il presidente della Commissione Delors decidono di accelerare il processo di aggregazione europea. E’ l’inizio del processo che porta al Trattato di Maastricht e al progetto dell’ “Unione Europea”. Nel Trattato compaiono la cittadinanza europea, il passaporto unico. Chiari segni di una finalità politica. Che cos’è “politica”? Max Weber ha scritto che è ogni “attività direttiva” e, dopo avere precisato che lo Stato, nella storia europea moderna, ne è la concretizzazione principale, precisa che lo Stato detiene il monopolio dell’uso (considerato legittimo) della forza fisica, cioè un potere, all’occorrenza, coattivo. Un potere che appartiene a ogni Stato membro; ma che non appartiene all’Unione Europea. Perché l’Unione che nasce a Maastricht è una cooperazione interstatale. Il che significa: priva di potere sovranazionale, politico, nonostante i timori dei conservatori di quel tempo (che favoleggiavano di un “super-Stato” europeo). In effetti, la sovranità europea si delinea come una sovranità sussidiaria, rispetto alla sovranità degli Stati membri, nelle materie economiche che la globalizzazione, via via, sottrae agli Stati membri (e si tratta di introdurre forme di controllo sub-continentale” su questa “sottrazione”).
Con il Trattato di Maastricht la Comunità Europea si assume nuovi ambiti di azione: ambiente, ricerca, cultura, sanità, tecnologia, educazione e formazione professionale coerentemente con la logica del Mercato Comune. Le procedure di voto a maggioranza vengono estese; ma la politica estera consiste in una ricerca della convergenza diplomatica fra i diversi Stati membri – dopo le divisioni in merito alla vicenda jugoslava.
L’Unione Europea, che nasce con il Trattato di Maastricht, si struttura su tre “pilastri”: politica economica, politica estera, cooperazione giudiziaria e di polizia. Il terzo “pilastro” era rivolto a implementare il Trattato di Schengen (1985) per creare un’area di libera circolazione delle persone. Sempre con il Trattato di Maastricht si decide di procedere con l’unione monetaria fra gli Stati membri. Tuttavia, l’Unione non assume personalità giuridica internazionale e i due “pilastri” degli affari esteri e della cooperazione giudiziaria e di polizia restano di competenza del Consiglio Europeo, cioè del vertice dei capi di Stato e di Governo. Viene rafforzato il Parlamento: chiamato ad approvare la nomina della Commissione il cui insediamento e durata coincidono, dal 1995, con la legislatura parlamentare. Sulle politiche sociali, previste dal Trattato, Gran Bretagna e Danimarca aderiscono con riserva, vale a dire, nei limiti in cui tali politiche non ostacolino il funzionamento del “libero mercato”.
Di fatto, come è stato osservato, il Trattato di Maastricht, nell’equilibrio dei poteri, determina una perdita di potere dei parlamenti nazionali rispetto agli esecutivi.
Con la creazione della Banca Centrale Europea, nel 1998, viene creata una struttura sovranazionale autonoma rispetto agli stati membri, ma vincolata, di fatto (sia pure in modo fluido) al Fondo Monetario Internazionale.
I problemi per l’unione Europea cominciano a porsi con gli allargamenti verso est. A essi cercano di rispondere i vertici di Amsterdam (1997) e di Nizza (2001) affrontando la questione delle materie sulle quali decidere a maggioranza e il problema della ponderazione dei voti da attribuire ai singoli Stati in sede di Consiglio dei Ministri.
Maastricht e Roma
17 mesi di lavoro di una Convenzione presieduta dall’ex-presidente della Repubblica francese Valèry Giscard D’Estaing producono un Trattato istitutivo di una Costituzione per l’Europa il cui testo definitivo è firmato a Roma il 29 ottobre 2004. Che cosa significa Costituzione? Non c’è alcuna Assemblea Costituente che rappresenti i cittadini europei suddivisi per partiti; sono gli esecutivi i promotori del testo costituzionale; sembra che gli esecutivi vogliano ‘trascendersi’ in una dimensione sovranazionale in modo parzialmente analogo a quanto avvenuto nelle tredici ex-colonie britanniche dell’America del Nord tra il 1776 e il 1787. Viene abolito il sistema dei 2pilastri, viene introdotto il voto a maggioranza per larga parte delle decisioni inerenti il mercato europeo (e materie connesse) e il potere di legiferare è suddiviso tra Commissione Europea, Parlamento Europeo (elettivo a suffragio universale dal 1979) e Consiglio dei Ministri; viene incorporata, inoltre, la Carta dei diritti dell’Unione.
Il Trattato del 2004 sarà bloccato dal processo di ratifica: l’elettorato francese respingerà il Trattato. Trattato che cambierà pelle per assumere i connotati più moderati del Trattato di Lisbona (dicembre 2007, entrato in vigore dopo un complesso processo di ratifica l’1 gennaio 2009.
Domande e ipotesi
Quali le differenze sostanziali fra i due Trattati? Gli accenni federalisti e costituzionali presenti nel primo scompaiono nel secondo.
Perché? Perché al “governo delle relazioni europee”, soprattutto se influenti sui rapporti con i paesi terzi, basta la N.A.T.O. e, per il resto, la disciplina del mercato europea è sufficiente. Non occorreva altro, secondo gli esecutivi del tempo.
I “tre pilastri” sono stati eliminati e risolti all’interno della competenza legislativa e amministrativa dell’Unione; il processo legislativo, sempre limitato alle materie economiche e alle loro connessioni, è il meccanismo di codecisione che coinvolge la Commissione Europea, il Parlamento Europeo e il Consiglio dei Ministri. C’è persino l’Alto Commissario per la politica estera; una presenza marginale, di fronte all’azione degli Stati membri.
Un corpo economico che si sviluppa all’interno dell’area dell’Alleanza Atlantica, che diventa un vero e proprio gigante economico subcontinentale, tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta del XX secolo, aveva, di fatto, un peso politico – perché il peso economico è sempre un peso politico. Il paradosso è che le implicazioni politiche del “gigante” sono nelle mani di Stati membri legati, anche allora, al simulacro della sovranità nazionale (pur dopo la Seconda Guerra mondiale: non infrequente esempio di miopia politica). L’Unione ha un carattere intergovernativo nel quale sono protagonisti gli Stati membri, cioè il loro governi. Poteva essere diversamente? No: gli Stati hanno creato l’Unione, ne sono i signori. Sotto la tutela dell’Alleanza Atlantica. Non esiste un’alternativa- e lo dimostra la mancata ratifica del trattato di Roma del 2004. Il “popolo europeo” è la materializzazione di un desiderio che, paradossalmente, attraversa anti-fascisti (come Spinelli e Rossi, autori del celebre Manifesto di Ventotene) e post-fascisti (come Jean Thiriart, Europa. Un impero di quattrocento milioni di uomini). Che non riescono, comunque, a configurare un movimento politico reale, effettivo.
Non stupisce la trasformazione del Trattato di Roma nel Trattato di Lisbona: il massimo tollerabile dai sovranisti ante-litteram per non perdere gli indubbi vantaggi del mercato comune (trasformatosi in mercato unico) e per non perdere la facciata del piccolo nazionalismo (mai scomparso, per lo meno a livello di psicologia collettiva, nonostante gli esiti molto chiari della Seconda Guerra mondiale). Due fattori premono, tuttavia, oggi, sulle ideologie sovraniste: da un lato l’urgenza di salvare il welfare (di cui ognuno, in Europa, conosce le potenzialità socialmente compattanti), dall’altro l’esigenza di gestire i flussi migratori (assai importanti, in prospettiva per il welfare). L’Alleanza Atlantica è interessata alle grandi tematiche della diplomazia internazionale, ben poco alle tematiche sociali. Questo è lo spazio in cui l’Europa potrebbe crescere, riprendendo lezioni del passato, del welfare degli anni Trenta e partendo dal principio secondo il quale è cittadino europeo è soltanto chi lavora, e che Europa è soltanto quella forma istituzionale che dà lavoro. La compattezza sociale genera la compattezza politica. Lo Stato europeo, lo Stato federale europeo, non può che essere Stato del lavoro. Ma per essere questo, esso deve iniziare a costituirsi come stato del welfare. E, a questo punto, avrà bisogno di un nuovo Trattato, molto diverso dal trattato del 2004 e del 2007.
Francesco Ingravalle
La bussola per la navigazione politica d’Europa.