Ormai da svariati decenni il Movimento Sindacale presenta grosse difficoltà nell’impostare una strategia che superi i concetti ormai desueti di “conflittualità permanente” o quelli non più applicabili di “concertazione irresponsabile”, giocando essenzialmente in difesa o di rimessa, vedendosi costretto a ridurre progressivamente le aree di tutela, puntando sovente a rappresentare i lavoratori dei settori contrattualmente consolidati e non riuscendo ad intercettare le pressanti richieste di supporto ed aiuto da parte di un’enorme “zona grigia” che caratterizza il lavoro di quei “prestatori d’opera” in massima parte giovani o persone precedentemente espulse dal sistema produttivo in conseguenza delle innumerevoli crisi aziendali non risolte e dell’assoluta assenza di reali politiche attive per il lavoro, non certo risolte, ma anzi spesso aggravate da soluzioni tampone quali il “Reddito di Cittadinanza”.
In quest’ottica possiamo ben dire che attraverso la “foglia di fico” del “Salario Minimo” rischiamo di livellare le retribuzioni di alcuni comparti a valori inferiori agli attuali, allineandoli proprio a quel salario minimo legale non sempre auspicabile e depotenziando il CCNL.
Diventa quindi sempre più impellente da parte del Sindacato l’esigenza di recuperare una visione strategica che ormai si è smarrita da vari decenni. Questo ci riporta a due articoli della Costituzione che, se attuati, avrebbero un impatto importante sulla contrattazione e sui livelli retributivi: l’articolo 39, sulla registrazione e l’acquisizione della personalità giuridica da parte dei sindacati, e l’articolo 46, sul diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.
Inoltre, devono essere affrontate e combattute alcune malattie ormai endemiche delle Organizzazioni Sindacali, quali il processo di burocratizzazione delle sue strutture, che spesso assumono il ruolo di vere Holding Finanziarie imprenditoriali e la mancata volontà di assumere una posizione chiara sulla ormai ineludibile questione morale, che intacca la credibilità del Movimento Sindacale nel suo complesso.
Se il Sindacato deve obbligatoriamente impostare una strategia a fronte del vuoto pneumatico che caratterizza il presente, deve anche puntare a nuove forme di azione che gli permettano di recuperare iniziativa, incisività e capacità di rappresentanza.
Il mondo del lavoro, negli ultimi anni è cambiato completamente, globalizzazione, digitalizzazione, intelligenza artificiale hanno mutato equilibri e rapporti, tuttavia svolgere una efficace e concreta azione sindacale nell’era degli algoritmi non è impossibile. La transizione digitale rende più deboli, e spesso vani, i tradizionali strumenti in mano alle organizzazioni dei lavoratori, decine di anni di rinnovi contrattuali a perdere, la rinuncia ad incrementi salariali per favorire una produttività, che in realtà permane bassa per oggettivi limiti strutturali, hanno allontanato i lavoratori dal Sindacato, reso una parte importante dei giovani convinti della inutilità dell’iscrizione ad esso. Infine, in alcuni ambienti, si considera inutile la sopravvivenza dello stesso Sindacato, accomunato agli altri Corpi Intermedi in una crisi che parrebbe irreversibile.
L’individualismo del singolo di fronte al mercato del lavoro e un neoliberismo sfrenato, ove il rapporto domanda/offerta diventa unico elemento regolatore, hanno una sempre maggiore influenza sulle dinamiche economiche e sociali, mentre il lavoro umano, nell’era della produzione digitale, appare meno importante.
Una indispensabile ripresa dell’azione sindacale deve operare su più piani e con strategie diverse. Certamente il contesto è mutato radicalmente e i terminali sindacali, nelle strutture aziendali, se ne rendono quotidianamente conto, siano essi della Pubblica Amministrazione, come della Logistica. L’efficacia dell’azione sindacale appare sempre più strettamente legata alla comprensione del senso politico e strategico delle tecnologie digitali, e dal modo in cui, nel quadro socioeconomico ridefinito da esse, si manifestano governance e management.
Certamente l’innovazione tecnologica non può essere affrontata dal Sindacato con derive luddiste, tuttavia non va sottovalutata la novità del fenomeno, che evidenzia sotto traccia, ma non troppo, un attacco allo stesso lavoro umano. A fronte di questa nuova sfida il Sindacato deve approntare strumenti al fine di poter conoscere non solo le tecniche di produzione, ma anche le tecniche digitali di gestione dell’impresa, specie in un contesto economico in cui ormai il capitalismo imprenditoriale ha lasciato il posto ad un capitalismo finanziario, sempre più attento a ridurre innanzitutto il costo del lavoro e causa, più o meno consapevole, di una instabilità sistemica, che danneggia l’economia reale, le prospettive di crescita e i livelli di occupazione. Non poter accedere a queste informazioni allontana il Sindacato dalla conoscenza delle dinamiche che determinano la gestione aziendale; rendendo la sua presenza sempre meno incisiva.
Non possiamo non evidenziare che il Sindacato non difende e sostiene solo il lavoro tout court, ma il suo scopo principale è salvaguardare il lavoro umano, governando le innovazioni tecnologiche con approccio proattivo, ma senza subirle apaticamente, con fatalismo deterministico. Lo stesso Sindacato ha, in passato, sovente accettato una interpretazione negativa del lavoro, a fronte della esaltazione del Tempo libero, che ci vede in realtà subire le conseguenze di un consumismo totalizzante. Il Sindacato deve obbligatoriamente riaffermare la cultura del lavoro, l’umanesimo del lavoro come elemento distintivo dell’essere umano e ridefinire la sua “cassetta degli attrezzi” nell’era digitale. In questa ottica va rivisto il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, che oggi, così come è strutturato, spesso non risponde più alla velocità dei mutamenti aziendali. Inoltre oggi il Sindacato dispone di molte meno informazioni di quante ne disponga la controparte aziendale e sopratutto, manca degli strumenti e delle competenze necessarie per leggere ed interpretare le informazioni. Quindi a livello aziendale o di filiera il Sindacato dovrà tentare di sottoscrivere accordi il più dettagliati possibile, con le descrizioni precise dei processi, con le analisi destinate a guidare lo sviluppo del software, in modo che non si possa evitare di tenere contro di quanto concordato.
Inoltre il processo di innovazione tecnologica e organizzativa, ove non venga attuato, si tenta di compensarlo con svalutazioni salariali, mentre si strutturano professioni iperspecializzate e mestieri non qualificati, che, grazie alla frammentazione delle tipologie lavorative e alle nuove forme di organizzazione del lavoro, favoriscono la contrattazione individuale rendendo sempre più difficile organizzare una rappresentanza collettiva dei lavoratori. Infine c’è lo schiacciante ruolo delle politiche neoliberiste e recessive imposte dalle autorità economiche dell’Unione Europea e dai trattati ad essa collegati, con il conseguente smantellamento del Welfare State europeo e il ridimensionamento della contrattazione collettiva.
Infine l’azione del Sindacato non può e non deve limitarsi agli aspetti meramente contrattuali o comunque legati alle aziende e al territorio, deve recuperare un respiro superiore, un livello di interlocuzione capace di influenzare gli aspetti macroeconomici, che fortemente impattano sulla stessa contrattazione, ma non solo, visto lo stretto rapporto tra disoccupazione e precariato o tra economia e dinamiche salariali. Questo renderebbe possibile o per lo meno ipotizzabile riallacciare un rapporto con i giovani, lavoratori, disoccupati o sotto occupati che siano, intercettando le loro ansie determinate da processi di precarizzazione che appaiono ancora inarrestabili, da aree contrattuali tutelate solo parzialmente da CCNL deboli, da retribuzioni misere determinate da lavoro parziale, forte utilizzo della flessibilità e di particolari contratti di lavoro atipici. Inoltre è facilmente comprensibile che gli interessi dei lavoratori sono anche rappresentati dalle opportunità occupazionali dei figli, che primi fra tutti, dopo generazioni, non hanno la presunzione di poter migliorare le condizioni di vita rispetto al tessuto familiare e sociale di provenienza, dal livello qualitativo della sanità pubblica, dalla fruibilità dei servizi di assistenza all’infanzia e agli anziani, dall’accrescimento delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito, dal sistema dei trasporti pubblici etc.
La partecipazione non può essere quindi limitata all’ambito aziendale, ma deve prevedere livelli di presenza istituzionale e responsabile dei Corpi intermedi anche nei processi che riguardano le scelte di politica economica. E’ evidente che per poter svolgere questa funzione partecipativa è condizione necessaria che il Movimento Sindacale sia in grado di comprendere le dinamiche economiche in atto e le connessioni che le legano agli interessi dei lavoratori che intende tutelare. Il rapporto tra capitale e lavoro nel contesto delle attuali trasformazioni del sistema economico mondiale, va ripensato per andare anche oltre il modello di “partecipazione” dei lavoratori ai profitti o comunque al risultato economico dell’impresa, o peggio come semplice infiltrazione dei quadri sindacali nei consigli di amministrazione degli enti pubblici. Esso va allargato nell’ottica di una partecipazione dei lavoratori, attraverso le loro rappresentanze, alla costruzione di una strategia comune per la gestione collaborativa delle relazioni di produzione coerente con gli obiettivi di sviluppo condivisi. In questa ottica, la crisi dei partiti, del sistema di Democrazia Parlamentare, gli obiettivi limiti e contraddizioni del liberalismo e del liberismo economico, aprono ampi spazi ad un Sindacato Partecipativo e ritorna opzionabile una ipotesi Corporativa.
Per raggiungere questo obiettivo il Sindacato deve riaffermare la priorità di porsi il tema ineludibile della “questione morale” eliminando tutti quei comportamenti devianti per cui molto spesso i dirigenti o i “rappresentanti” sindacali perseguono, ad ogni livello, i propri personali interessi anziché quelli dei “rappresentati” e dotarsi al proprio interno di adeguate strutture permanenti di studio, di ricerca e di approfondimento culturale, idonee alla comprensione delle dinamiche economiche e alla formulazione di linee strategiche di riferimento per la quotidiana azione sindacale.
Ettore Rivabella