Per tradizione inveterata, il mese di agosto è privo di notizie eclatanti. Per cui, spesso, i giornalisti riciclano servizi, sempre uguali, sulle vacanze dell’Italiano medio, sul caldo asfissiante senza precedenti storici, su pettegolezzi da spiaggia, sull’aumento incontrollato di prezzi, o su personalismi e contrasti politici. Per non parlare di tristissimi quanto squallidi eventi di cronaca nera.
Quest’anno, invece, è emerso, intorno al giorno 25, il riferimento non è sicuro, qualcosa di inatteso e che potrebbe avere risvolti futuri di rilievo nelle relazioni internazionali in ambito mediterraneo; quindi, qualcosa che riguarderà in primo luogo proprio l’Italia, data la sua posizione centrale e geostrategica e, naturalmente, l’Europa.
Alludiamo all’incontro, che doveva rimanere segreto, fra i ministri degli esteri libico, o, per meglio dire del governo di Tripoli, Najla al-Mangoush, e dello Stato di Israele, Eli Cohen. È stato proprio quest’ultimo a divulgare, improvvidamente, il bilaterale, creando, così, una situazione quanto meno imbarazzante per tutte le parti in causa e provocando l’ira di Washington. A Tripoli, una folla di manifestanti ha dato vita a violente proteste nel nome della solidarietà al popolo palestinese e della condanna di ogni forma di contatto con Israele.
Il premier Abdulhamid Dbeibah non ha creduto, nel surrealistico gioco delle parti, alla bizzarra versione della al-Mangoush, secondo la quale si è trattato di un incontro informale con l’omologo israeliano, incrociato casualmente per le assolate strade di Roma. Il ministro, sospeso dall’incarico, ha preferito, per ragioni di incolumità personale, darsi alla fuga, imbarcandosi su un aereo alla volta della Turchia.
Secondo quanto riporta Davide Frattini sul Corriere della Sera in data 29 agosto, l’incontro romano non è stato affatto un evento fortuito, ma l’esito di un lungo lavoro diplomatico condotto dai servizi d’intelligence statunitensi in stretto contatto col governo israeliano e con altri Paesi “amici”. Fine dell’operazione sarebbe stata la normalizzazione dei rapporti con la Libia di Dbeibah, sulla scia degli “Accordi di Abramo”. Questo, almeno, lo scenario semiufficiale: è noto, infatti, che il controllo della Libia assume un rilievo di primaria importanza negli equilibri internazionali. Lo Stato, di fatto, non esiste più dal 2011, quando il governo di Tripoli venne rovesciato manu militari da un’informale coalizione di Paesi democratici a guida francese. Fu un’operazione oggettivamente concepita contro l’Italia che con la Libia aveva stretto un Trattato di collaborazione e alleanza. Fuori da ogni normale logica politica e contro i legittimi interessi nazionali, il governo Berlusconi appoggiò le mire neocoloniali di Sarkozy, all’epoca dei fatti Presidente, e lo stesso assassinio di Muhammar Gheddafi.
Oggi la Libia, frammentata in vari potentati, è terra di contesa fra diverse potenze non europee: Stati Uniti, Turchia, Cina, Russia, solo per citarne alcune, con la complicazione della ripresa del fondamentalismo islamico nelle sue diverse sfumature e sfaccettature.
Tornando all’estate romana, a quanto pare, l’Italia è stata scelta, sempre dagli USA, come Paese affidabile del controverso incontro, ottenendo il capo della diplomazia Tajani il ringraziamento del ministro Cohen.
È noto l’allineamento dell’attuale esecutivo di Destra conservatrice alla politica estera dell’amministrazione Biden, e quindi allo Stato di Israele. C’è da sottolineare che il groviglio libico ci riguarda direttamente per questioni sotto gli occhi di tutti: immigrazione clandestina, approvvigionamenti energetici, controllo delle frontiere marittime etc. Il governo Meloni ha di fronte a sé potenzialità positive e favorevoli sia per l’Italia che per l’Europa. Qualche mossa strategica, invero, è stata compiuta: basti pensare al Piano Mattei.
Rimane, altresì, sullo sfondo il problema di una strisciante sudditanza ad entità straniere che perseguono politiche di penetrazione non solo in Libia, ma in gran parte dell’Africa, non compatibili, oggettivamente, con un’auspicabile autonomia europea. Insomma, i prossimi anni potrebbero essere decisivi per la riconquista di una reale centralità e autodeterminazione o per una definitiva rinuncia ad un ruolo politico propulsivo da parte dell’Italia e dell’Europa.
Ultima riflessione, ma non in ordine di importanza: riteniamo che il cieco sostegno alle politiche del governo Netanyahu, che gode ormai di scarso credito anche all’interno dello Stato israeliano, non possa risanare in alcun modo la ferita aperta della questione palestinese. Anche per questo aspetto, Italia ed Europa potrebbero, finalmente, svolgere un’azione determinante e decisiva. Troppi decenni sono trascorsi, troppo sangue è stato versato.
È il momento di un’autentica svolta, non di tristi temporeggiamenti o di vane e astratte, quanto inutili, dichiarazioni di buona volontà.
Giuseppe Scalici
Illuminante!