Alla parola arbitrio, associata all’aggettivo libero, si attribuisce tendenzialmente un significato ben preciso, ovvero la capacità dell’uomo, di ogni singolo uomo, di scegliere la sua strada, le azioni da intraprendere e ciò che viene percepito come giusto o sbagliato. Tale concetto, secondo i molti, è tipico dell’etica cristiana, che quando si diffuse e conquistò culturalmente l’impero romano, ne modificò l’etica. Secondo i più, infatti, se prima le qualità e la stima di cui un uomo godeva erano date soprattutto dalla carica politica e dal ruolo sociale che esercitava, da quel momento si stabilì che a determinare la validità e la rettitudine di un uomo era semplicemente il suo arbitrio per il “bene “ o per il “male”.
Le cose stanno davvero in tali termini? La risposta è no se si tiene conto di come il cristianesimo fu rettificato dalla romanità e di qual era essenzialmente il fulcro delle religioni pagane indoeuropee; per spiegare ciò, si parta proprio dai termini sopra citati, ovvero “bene” e “male”. Tali vocaboli, da sempre il fulcro della religione cristiana e di tutte le religioni abramitiche, non potevano in nessuna maniera fare parte invece della civiltà romana, greca e di quella di tutte le stirpi indoeuropee.
Studiando con attenzione il mondo classico, si incontra molteplici volte il ricorso ad aggettivi quali “bello”, “buono”, “giusto” o “ingiusto”.
Antigone, ad esempio, agisce secondo giustizia, quando obbedisce alle leggi sacre del divino e non si sottomette alla tracotanza tirannica di Creonte. Enea è l’ eroe pio perché rinuncia alle cose più comode per obbedire al volere del fato, quando decide di viaggiare verso la terra dei Padri, sulla quale secoli dopo sorgerà Roma. Lo stesso potrebbe dirsi di Oreste, il quale uccide sua madre, pur di onorare la memoria paterna e rispettare quindi il kosmos della società patriarcale. Gli esempi potrebbero essere ancora molteplici, e ci rivelano un dato di fatto incontrovertibile. A contare per i greci e i romani erano i principi, dei valori di ordine superiore cui l’uomo tendeva con le azioni che svolgeva quotidianamente.
A qualificare quindi la qualità degli uomini era la loro capacità di incidere nel plasmare le cose. Il famoso detto “muore giovane chi è caro agli dei” comunicava che chi aveva appieno coltivato la propria esistenza con eroismo e vitalismo prima della media era destinato al mondo degli dei, ovvero a quel mondo dove esiste la perfezione assoluta che plasma il mondo sensibile e percepibile coi solo umani sensi, quel mondo metafisico, cui la filosofia e il mito dei greci sempre anelarono.
Se quindi l’azione determinava il valore degli uomini, ne determinava il loro ruolo nella società ed ecco perché quella romana fu la stirpe che dalla gerarchia, dall’organicità e dall’eroismo fondò l’impero, arrivando alla geniale operazione “ex pluribus gentibus unam”. Il valore quindi del civis romanus certamente era correlato alla stirpe, al sangue e al ruolo che egli aveva, ma sempre perché frutto di azioni ben precise. Il senatore o il console che indegno si rivelava del suo compito e della sua funzione, perdeva l’attribuzione di migliore che gli veniva conferita in virtù del suo ruolo.
E in ciò quanto incide il concetto di libertà dell’azione? Incide nella misura delle forze interiori che si decide di assecondare, se quelle vitali e costruttrici, e quelle distruttrici e caotiche. Vi è però tuttavia una considerazione da fare: non tutti potenzialmente sono in grado di scegliere qual è la via migliore e coloro i quali riescono a farlo possono in virtù del ruolo che occupano all’interno di una società, che sempre sarà connesso al loro spirito e a quelle qualità e difetti che la genetica ha dato.
Osservando, invece, la morale cristiana di derivazione semitica si potrà ben notare quanto ad avere centralità non sono i principi, ma le leggi. La fonte di giustizia è già lì e all’uomo non tocca che seguirla. La battaglia sul male è già vinta in partenza. L’obbedienza a determinati precetti garantisce il paradiso come ricompensa finale.
Ed è proprio in questo che si evince la differenza profonda che intercorre tra il concetto di libertà di agire e quello cristiano di libero arbitrio. Oltre, infatti, all’idea assolutistica e dai tratti escatologici di netta contrapposizione tra l’entità del bene e quella del male vi è il credere che tutti potenzialmente abbiano la capacità di scegliere il meglio.
Ebbene, se così fosse, dove sarebbe il merito? Dove sarebbero l’aristocrazia spirituale e l’eroicità? Che posto potrebbero avere il filosofo, il guerriero e il poeta che si fanno carico di dare il kosmos alla propria civiltà?
Chi dovesse addurre che il cristianesimo ebbe un ruolo decisivo nella storia d’Europa e che essa non decadde definitivamente dopo la caduta dell’Impero romano affermerebbe il vero, ma contestualmente dovrebbe ricordare che ciò che caratterizzò la spiritualità degli uomini medievali fu il cattolicesimo, ovvero il cristianesimo rettificato dalla romanità, non il cristianesimo delle origini, proprio perché vi erano degli assi sacrali e sovrumani che sopravvissero nonostante la caduta dell’Impero romano e l’acuta crisi che ne scaturi’.
Quando l’Europa conobbe il decadimento che oggi sembra inesorabile, visto il diffondersi delle ideologie liberali e marxiste, figlie dell’illuminismo, l’idea fascista si differenziò tra le varie cose anche perché mai si presentò come ideologia ma sempre come incarnazione di principi spirituali, di tipo vitalistico e solare, e non come libretto universalistico di istruzioni da seguire per la creazione di un universo utopico. Le dottrine circa uno stato perfettamente funzionante, partivano da quello che era l’uomo europeo, dalle sue migliori qualità e dai suoi difetti al fine di giungere al kosmos della civiltà. Non vi fu una categoria ideologica di riferimento come fonte del bene o del male o un criterio unico al quale tutti dovevano obbedire.
Non è certamente casuale che certe ideologie, pur contestando il cristianesimo, abbiano molti tratti in comune con il suo sapore originario, nella misura in cui ambiscono a società egualitariste, moraliste e universalistiche nel senso peggiore e al raggiungimento di un universo perfetto e fonte di ogni bene. Così come non è evidentemente una coincidenza che alla sconfitta dei fascismi nella seconda guerra mondiale parteciparono liberalismo, socialismo, comunismo e cristianesimo democratico coalizzati.
Chi oggi vuole davvero difendere la civiltà europea recuperi alla memoria quanto affermava Romualdi, ovvero che oggi sono i simboli pagani che stanno tornando in auge. Essi risplendono di una nuova luce. E la rivoluzione è attuabile. Se un tempo si seppe rettificare il cristianesimo con i principi della romanità, trasformandone la natura, oggi è possibile incidere sui tempi, senza ricorrere ad ingrassare schemi vecchi che hanno contribuito alla decadenza dell’Europa.
Ferdinando Viola