MODUS VIVENDI BORGHESE E ROSSOBRUNISMO: DUE TENDENZE SPECULARI

Come è noto, per una serie di ragioni, negli ultimi tempi le cosiddette tendenze rossobrune hanno in qualche modo colpito l’area convenzionalmente definita di estrema destra.

A giudicare dai comportamenti che molti soggetti di tale area assumono, potrebbe essere percepito come spreco impiegare energie a discutere di loro, tuttavia diviene fondamentale “rispondere a certe sollecitazioni”, visto che nel caos continuo in molti rischiano di confondere principi che hanno caratterizzato una storia nobile, di cui molto sono indegni eredi, come il cosiddetto “fascismo di sinistra”, le tendenze spiccatamente sociali di Bombacci, i capisaldi dell’organizzazione dell’economia durante gli anni della Repubblica Sociale Italiana e le idee rivoluzionarie e sociali del neofascismo. 

I rossobruni tendono ad accusare chi non cerca convergenze con il mondo di estrema sinistra di essere filo-borghese e filo-liberale. Ebbene, con una disamina si possono smentire certe farneticazioni.

Fin dai primi tempi del dopoguerra, il mondo direttamente erede del fascismo, a partire dal Movimento Sociale italiano vide un ampio dibattito interno, varie tendenze e la costante contrapposizione tra un’area percepita come più filo-borghese e un’area più rivoluzionaria e vicina alle tematiche sociali.

Ma gli intendimenti delle anime rivoluzionarie quali erano? Erano quelli di chi aveva intuito, che la vera natura che la Destra doveva incarnare, per rispettare quanto più possibile i valori e i propositi per i quali era nata nel dopoguerra, raccogliendo il testimone del fascismo, non era quella di una forza conservatrice o reazionaria. 

In effetti, fare del nostalgismo retorico e formale del ventennio il centro dell’azione politica, soprattutto per fini elettorali, tramite un generico concetto di legge e ordine, la pena di morte e la tutela di un certo ordine sociale, come spesso faceva il Movimento Sociale italiano, non facendo altro che rafforzare il sistema in atto, forniva all’ideologia comunista una carta vincente, che le consentiva di apparire come l’unica forza autenticamente rivoluzionaria, nonostante la realtà fosse diametralmente opposta. 

Allo stesso modo, cercare consenso esclusivamente tra gli esponenti della classe borghese, anticomunista solamente per fini economici e per la tutela del suo status quo, oltre a sortire pochi vantaggi elettorali, in quanto certe classi sociali già erano ben rappresentate dalla piovra democristiana, non avrebbe fatto altro che annacquare e corrompere il mondo del neofascismo.

Diversamente, il rivolgersi al proletariato disperatamente in cerca di risposte, spesso illuso e poi deluso dal comunismo, avrebbe aperto ampie prospettive. La storia ci insegna, in effetti, che coloro i quali maggiormente vivono il disagio economico sono quelli più propensi ad identificarsi in chi vuole rivoluzionare il sistema in atto, soprattutto quando il seme rivoluzionario viene piantato da chi soddisfa le esigenze di dignità economico-sociale. E, a differenza delle dottrine marxiste, che con il tempo sempre più dimostravano il loro fallimento e la loro barbarie intrinseca, la dottrina economica dell’alternativa corporativa, in nome della quale tanti eroi erano caduti in guerra, aveva in sé enormi potenzialità e tutt’altro era che irrealizzabile. 

Era la sola in grado di coniugare al meglio l’interesse del singolo e della comunità. Rappresentava e rappresenta l’avvenire, non il passato e non il presente stantio di ieri e di oggi. La strategia giusta era quindi dare ai proletari finalmente le risposte che cercavano e poi indirizzarli verso tutti quei valori su cui per secoli si era retta la civiltà europea, come la Patria, la spiritualità, l’onore, il sangue, il sacrificio e l’identità. 

Ci fu chi saggiamente comprese che il problema del comunismo non erano tanto i suoi elettori proletari e nemmeno le loro rivendicazioni di dignità sociale, bensì i capi del marxismo, l’elites benestanti, insomma tutta quella gente che educava i votanti e i militanti comunisti ad un’etica rovesciata, i cui capisaldi per l’appunto erano l’odio sociale, l’invidia, la massificazione, l’internazionalismo e tutte quelle degenerazioni sovversive ben note.

 Il fatto che i dirigenti del partito comunista e i suoi intellettuali tutto fossero tranne che lo specchio di quelli che pretendevano di rappresentare non è una coincidenza. La borghesia, non tanto intesa come classe sociale abbiente, quanto più come casta che vive in nome del materialismo, della comodità, dell’agiatezza sfrenata e dell’egoismo è pregna di ogni pulsione deleteria. 

Nel dopoguerra vi era da una parte una borghesia reazionaria e filo-capitalista, alla quale spesso il Movimento Sociale italiano rivolgeva la propria attenzione per scopi elettorali, dall’altra una di stampo marxista e sovversivo, che inculcava nella testa di molti le follie ideologiche del comunismo. In nessun caso, però, la sovversione poteva essere un’idea partorita nella mente del proletariato. Chi vive in condizioni sociali disagiate, difficilmente può mai avere la mente disposta alla creazione di entità sovversive. 

Spesso l’eccesso di benessere, che è correlato a chi di esso fa lo scopo principale della propria genera mollezza e decadenza. Da ciò ne consegue che se la classe proletaria poteva essere illusa e sovvertita dal marxismo, per diretta conseguenza logica poteva essere rieducata ai nobili ideali e alla fede e riportata sulla retta via. 

È una coincidenza che la sinistra odierna ha dimostrato di essere completamente scollegata dai bisogni delle fasce popolari? In quali ceti riscuotono consenso personaggi come la Schelin? È una coincidenza che le tendenze filo-russe di oggi siano dei medesimi soggetti un tempo filo-americano e correlate a sentimenti come l’anti-europeismo e l’amore per un’ Italia dalla natura bottegaia?  Pleonastico aggiungere altro.

Ferdinando Viola

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