Quante volte si sentono pronunciare i seguenti slogan? “Sovranità popolare, parola al popolo, Elite contro i popoli, il basso contro l’alto, gli interessi dei molti contro gli interessi dei pochi”.
Queste affermazioni, tipiche del cosiddetto populismo di destra, hanno un minimo comun denominatore con il liberalismo e il comunismo, ovvero l’esaltazione delle masse, costantemente illuse. Tutti coloro che le pronunciano, poi, a prescindere dalla categoria politica di riferimento, si dichiarano difensori della democrazia e accusano gli altri di essere dei dittatori mascherati.
In tal senso ci viene in aiuto la storia, visto che per nulla sono recenti tali attitudini. Gli illuministi dichiaravano di essere i liberatori dell’umanità, coloro che appunto tramite la propria luce avrebbero eliminato qualsiasi ostacolo al raggiungimento dei traguardi che l’individuo aveva il diritto di porsi.
Le autorità da cui quindi gli uomini della massa, gli uomini comuni avrebbero dovuto liberarsi, erano quelle di natura religiosa, etnica e spirituale; ciò avrebbe consentito il raggiungimento di grandi ambizioni, di fatto non ben chiare, e che, poi, a seconda dei periodi storici, sono sfociate in degenerazioni di varia natura.
Il filone illuministico, infatti, produsse le famose ideologie liberale e comunista. Al netto dei tanti punti in comune che tali sistemi hanno, come tra l’altro l’epoca contemporanea dimostra ogni giorno di più, in pochi si soffermano su una questione fondamentale: entrambi i sistemi rivendicavano il primato democratico, e i sostenitori dell’uno accusavano quelli dell’altro di negare la democrazia, l’uno perché esaltava il voto, l’altro perché esaltava la parità economica. Mutatis, mutandis, così fa la destra con la sinistra oggi e viceversa, ciascuna con un proprio mezzo.
Tutto ciò a che conclusione conduce? A quella che la matrice “democratica” è comune alle sovversioni e che essa costituisce la causa per la quale le diverse ideologie si contrappongono, a volte per davvero, spesso per finta. In buona sostanza è la matrice rivendicata a causare i vulnus, che poi il demagogo di turno crede di poter riparare.
Al netto del fatto che collettività altro non è che somma di individui, al netto del fatto che sia nei regimi liberaldemocratici chei in quelli comunisti l’economia in senso di profitto è il centro di tutto, sia che il detentore del capitale sia lo stato, sia che lo sia la classe borghese, il dato che emerge è che l’esaltazione del “basso” e della “massa” sempre si traduce in tirannia, illusione e deresponsabilizzazione del popolo.
Ancora oggi, nonostante la realtà si faccia più palese in modo costante, tanti si sorprendono che nelle democrazie il popolo conti sempre meno. Eppure un’elementare riflessione aiuterebbe a capire perché: siccome la massa, quando non è guidata, altro non è che un soggetto caotico, una moltitudine deforme, come direbbe Hegel, si affiderà a chi le saprà dire le cose più persuasive e le prometterà la risoluzione dei problemi.
Ovviamente, per come è configurato il sistema, chi si fa portatore delle istanze delle masse, risponderà poi a logiche di potere e a interessi di parte, non certo generali, ma, a prescindere dalle intenzioni che possono essere anche valide, non sarà spesso in grado di migliorare la vita di chi lo ha votato, perché non rientra nelle sue competenze.
In una società democratica, tramite il ricorso alla propaganda, alle promesse da campagna elettorale e al fomentare le divisioni, tutti sono portati a credere che i disagi che vivono siano attribuibili a qualcun altro. E a nessuno viene in mente che è lo stato di cose in cui si opera che genera certe distorsioni. A nessuno viene in mente che è proprio il caos che produce le tirannidi oligarchiche.
La luce vera per il risorgere della civiltà europea sta in questi termini: è il paradigma che va mutato. Il popolo è partecipe e sovrano soltanto se contribuisce allo sviluppo della comunità, ma, perché lo faccia, necessita di chi è grado di orientarlo e di formarlo.
Questa è la ragione per cui in una società organica e gerarchica, essendo ciascuno chiamato ad operare nel settore che gli compete, sotto l’influenza dei migliori nel senso spirituale ed etico, non si sente vittima degli eventi ed è in qualche modo faber fortunae suae, non nel senso degenere individualistico, ma nel modo proprio degli uomini, visto che si guadagna i suoi spazi sulla base dei contributi che riesce a dare alla comunità di cui fa parte, non in base ai criteri della quantità ma della qualità e dell’armonia dell’ordine generale.
Se si volesse riassumere il tutto laconicamente si potrebbe dire che lo scontro non è tra elite e popolo, ma tra Tradizione e sovversione.
Ferdinando Viola