GARANTISMO E GIUSTIZIALISMO

Dopo l’annuncio della riforma della giustizia da parte di Nordio è riemerso un dibattito arcinoto, ovvero quello tra i cosiddetti garantisti e i cosiddetti giustizialisti. Come spesso avviene, anche in questo caso, le etichette propagandistiche non sono adatte a farci ben comprendere i fenomeni, ma, per incominciare, si cercherà di chiarire cosa intende chi ricorre a tali definizioni.

Secondo i garantisti, i giustizialisti non credono nella presunzione di innocenza dell’imputato e lo reputano colpevole prima che venga emessa una sentenza definitiva; secondo i giustizialisti, invece, i garantisti in realtà non sono i sostenitori delle garanzie processuali, ma ricorrono strumentalmente ad esse per garantire l’impunità della casta e dei colletti bianchi. 

Da questa analisi si desume quanto segue: quanto i “garantisti” affermano sui giustizialisti è assolutamente veritiero, quanto invece affermano i giustizialisti sui loro avversari non lo è. Intendiamoci: che la classe politica italiana si distingua spesso per corruzione e disonestà è tristemente ovvio, come logico è che, essendo la politica in un regime democratico una casta vera e propria, di tutto faccia per garantirsi i propri privilegi. 

Nessun partito garantista ha mai proposto, però, norme che di fatto mirino alla non persecuzione dei reati tipici dei colletti bianchi, e non tanto perché così propensi all’onestà, ma perché i politici conoscono svariati metodi per poter ottenere dei vantaggi dalla loro attività, senza infrangere la legge, basti pensare, tanto per fare qualche esempio, che lo scorso anno, visto l’aumentare dell’inflazione, parecchi consigli comunali e regionali, col voto favorevole anche dei partiti giustizialisti, si sono autoregalati l’aumento automatico dello stipendio, con buona pace dei lavoratori italiani comuni. 

A prescindere da ciò, poi, in un sistema come quello della repubblica italiana, che, viste le sue origini, si fonda su quanto di più degenere vi possa essere dal punto di vista etico, qualcuno può mai credere che le operazioni di tipo giacobino possano dare credibilità e onestà a istituzioni che tali attributi non hanno mai avuto, soprattutto se ad attuarle è una magistratura spesso manovrata quando si trova ad indagare sulla politica dalla corrente delle toghe rosse, ovvero magistratura democratica?

La verità in buona sostanza sta in questi termini: c’è chi o perché in buona fede o perché mosso da interessi personali o perché ne ha sperimentato gli effetti, vuol salvaguardare quel poco che è possibile salvaguardare in un quadro desolante come quello italiano e di conseguenza non vuole che la giustizia si tramuti in un’operazione indegna tesa ad umiliare personaggi che un certo potere prende di mira. Nordio con la sua riforma a questo lavora.

Poi c’è chi invece vuole che le procure continuino a disporre di ampia discrezionalità, in nome non di interessi di giustizia, ma semplicemente per ostacolare chiunque voglia cambiare l’Italia, per renderla una nazione governabile almeno quasi quanto lo sono tutte le altre nazioni europee. 

Laddove ovviamente i giustizieri proponessero misure che snelliscano la macchina giudiziaria e chiedessero di investire perché gli organi competenti scoprano quanti più reati possibili, sulla base di criteri e regole trasparenti, le loro argomentazioni diverrebbero interessanti e condivisibili. Si tratta ovviamente di un periodo ipotetico dell’irrealtà

Chiarito quindi il rapporto che intercorre tra garantisti e giustizialisti, si può aggiungere un altro spunto di riflessione: regalare l’idea di garantismo, intesa come tutela dell’imputato, o anche del condannato, che va punito e rieducato, non trattato con modalità non degne nemmeno di una bestia sulla quale le masse inferocite sfogano le loro peggiori frustrazioni, ai liberali è l’orrore più grande che si possa commettere. 

Nel corso della trasmissione Otto e Mezzo, qualche giorno fa, un intellettuale di sinistra, nonché ex politico, molto noto al pubblico, Massimo Cacciari, ha sostenuto che la Meloni, benché erede della tradizione del Movimento Sociale italiano, ovvero di una storia politica giustizialista, in virtù della sua discendenza dalla Repubblica Sociale Italiana, a detta di Cacciari, per accaparrarsi il ruolo di guida del centrodestra, ha fatto sua la politica garantista di tipo liberale. 

A Massimo Cacciari bisognerebbe spiegare che nel caso specifico non poteva non cadere in un luogo comune peggiore, degno di profonda non conoscenza della storia e delle dottrine politiche. Il fascismo, forse ai più sfugge questo dettaglio, fu una dottrina politica e un’applicazione di principi eterni propri della più antica e illustre Tradizione romana. Se il principio della proprietà transitiva ha un senso, siccome Roma fu la patria del diritto e lo insegnò a tutta l’Europa, è alquanto ovvio che la visione che il fascismo aveva del diritto era quella romana. E la tradizione di diritto romano aveva nelle garanzie uno dei suoi fulcri essenziali. 

Era certamente più rigida nelle pene, e molti dei trattamenti che riservava ai condannati oggi da noi sono ritenuti disumani, ma se i nostri metodi punitivi si sono evoluti è proprio in virtù dei principi del diritto romano, i quali principi, anche quando venivano applicati con severità, non furono mai privi di garanzia. 

Molti evidentemente ignorano che fornire garanzia e dignità ad un imputato non significa certo essere lassisti nell’applicazione delle pene, bensì rendere pienamente trasparente a chi è sottoposto a giudizio ciò cui va incontro, applicazione del principio di responsabilità personale e possibilità di difendersi. 

Tali prerogative, evolutesi nel corso dei secoli, non mancavano a Roma e mai mancarono durante gli anni del regime fascista. I carcerati, ai tempi di Mussolini, mutatis mutandis, godevano spesso di condizioni di vita nettamente superiori a quelle dei carcerati odierni, il principio riabilitativo della pena era ampiamente rispettato e mai vennero messi i reati politici e ideologici allo stesso livello dei crimini comuni, anche se il periodo storico era particolarmente travagliato per via delle sovversioni sovietiche e degli interessi che avevano i servizi segreti stranieri a destabilizzare la politica italiana; non a caso venne istituito un tribunale speciale, le cui regole l’imputato conosceva perfettamente.

Aberrazioni come quelle propagate oggi dall’antifascismo di maniera che conta di tante procure al proprio servizio, con processi ideologici e politici mascherati, mai si videro.

Alcuni probabilmente, anche molti d’area, resterebbero stupiti nel leggere queste parole ma il tutto è facilmente spiegabile: il sistema liberale, che tanto si vanta di essere garantista, in realtà trae le sue origini dalla rivoluzione francese e dal modus operandi giacobino. Non è un caso che in quell’epoca a livello di diritto vennero meno tutti gli equilibri e tutti i principi di civiltà giuridica: furia di popolo, omicidi indiscriminati, assenza del principio di responsabilità personale, ovvero tutti i virus che persistono anche nella contemporaneità.

Non stupisce perciò che la democrazia americana, erede della tradizione anglosassone, che, a differenza di quanto avvenne in Europa, assunse con pienezza e senza alcuna rettificazione le peggiori degenerazioni del liberalesimo, è quella che vanta un trattamento disumano dei propri detenuti, che ogni anno condanna a morte migliaia di innocenti e che tratta i processi come fossero un talk show, insieme alla Russia, già degenere ai tempi degli zar, divenuta poi egemonizzata dall’ideologia comunista, ovvero la quintessenza della democrazia, che in quanto ad applicazione delle pene verte in una situazione di gran lunga peggiore di quella americana, oggi, esattamente come all’epoca di Stalin. 

Ancora una volta il sistema è stato abilissimo nel trasferire il mostro che vive dentro di sé negli altri. Si spera che con tali disamine in molti recuperino concetti che una certa area non dovrebbe mai dimenticare. Soprattutto si rammenti alla memoria un cardine: il giacobinismo non garantisce sicurezza.

Lo stato quanto più è tirannico e dispotico, e la tirannide è figlia della democrazia, non della dittatura, come insegna Platone, tanto più l’insicurezza aumenta.

La fermezza della pena e la repressione dei fenomeni delinquenziali possono avere successo solo se ad operarle vi sono uomini di valore, non se vi sono coloro i quali si trasformano in esseri peggiori di quei soggetti sottoposti al loro giudizio, perché il diritto è una conseguenza di un sistema culturale e valoriale. Se il diritto è dispotico e opaco, vuol dire che è figlio di un modello asociale e disagiato, nel quale per forza di cose prolifereranno l’insicurezza, il degrado e la delinquenza.

Ferdinando Viola

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