Se le Torri Gemelle sono state un forte segnale che ha movimentato non poco lo scenario internazionale, ma in realtà ha rafforzato ulteriormente i rapporti di forza consolidatisi dopo il crollo del Muro di Berlino, la crisi mondiale causata dalla bolla speculativa determinata dai mutui subprime, ha impattato sulla popolazione e in particolare sui ceti medi, modificandone consolidate certezze con conseguenze pesanti sui livelli di vita e sul grado marginale di preoccupazione percepito, collegato alla personale situazione finanziaria, al senso di impotenza e contemporaneamente di insofferenza, che ha cominciato a pervadere su sempre più ampi strati sociali.
A fronte di questa complessa situazione dalla quale si possono trarre spunti di approfondimento sia in termini sociologici che psicologici, rimane tuttavia evidente che la struttura societaria e il sistema sociopolitico delineatisi alla fine della II Guerra Mondiale ed elevato a sistema mondiale, o meglio, “mondialista” dopo il crollo del Muro, stanno attraversando una crisi ineluttabile e per alcuni aspetti irreversibile.
I risultati elettorali degli ultimi anni sono la conferma di un sistema sempre meno rappresentativo dei reali interessi delle nazioni e dei popoli.
Si evidenzia una stucchevole alternanza di partiti presunti “conservatori” o sedicenti “progressisti” che ottengono una maggioranza più o meno risicata, promettendo cambi di marcia ed inversioni di rotta, ma che in realtà continuano a navigare a vista in una procella che non controllano e dalla quale sono immancabilmente risucchiati.
Peggio ancora se la scelta è stata di affidare a presunti “tecnici” il comando della nave, come è avvenuto in Italia, in varie occasioni, incapaci anche questi di indicare una rotta diversa e nel contempo collusi o addirittura artefici delle condizioni che hanno ingenerato la crisi stessa. Come detto più volte, sembrerebbe quasi che si sia voluto risolvere il problema affidando ad Erode le chiavi dell’asilo nido…
A quali positive evoluzioni abbiamo potuto assistere dalla sostituzione di una delle due fazioni egemoni dei rispettivi sistemi partitici nazionali, che, nel tempo, si sono stancamente alternate al governo? Facce di una identica medaglia, potremmo dire. Perché in effetti non sono altro che espressione degli stessi centri di potere internazionali e, in quanto tali, non in condizione di rappresentare quegli interessi reali, generali e collettivi per i quali, almeno teoricamente, sarebbero stati eletti.
La crisi del sistema economico liberista e del libero mercato ha come conseguenza diretta la crisi delle forme di rappresentanza che da questo derivano. Si devono quindi percorrere nuove strade e nuove forme di partecipazione democratica.
Si deve uscire da un sistema sociale che non riesce a fare a meno di considerare il lavoro umano come un costo e puntare alla sua elevazione ad elemento primario della produzione insieme al capitale. Si deve uscire dalla logica del lavoro come merce, cancellare l’orribile terminologia di “mercato del lavoro” – adeguata più alle materie prime, ai manufatti e già con qualche remora alle vacche, ma certo non all’Uomo – per coinvolgere il lavoro e quindi i lavoratori nel loro complesso nella gestione delle imprese e delle scelte economiche che ne determinano la crescita o la stessa sopravvivenza.
Questa aspirazione aveva fondamenti profondamente radicati nel modello europeo di stato sociale, prima che le influenze da oltreoceano lo snaturassero. Influenze tra l’altro spurie e serve del Capitalismo Finanziario, perché gli Stati Uniti stessi hanno storia e influenze affini, che possiamo ritrovare in personaggi quali Jefferson e negli elementi caratterizzanti i primissimi anni del New Deal Roosveltiano.
Modificare i rapporti societari che determinano il controllo dell’impresa non può essere scollegato e avulso dal creare nuove forme di rappresentanza politica.
I partiti, legati a posizioni ideologiche ormai desuete, si ritrovano sempre più facilmente controllati da interessi personali, i quali determinano un sistema di corruzione diffusa e di arricchimenti illeciti. Inoltre, privati comunque di reali progetti o proposte, vivono alla giornata, senza una visione ed una prospettiva strategica. Nel sistema americano subiscono storicamente l’influenza istituzionale delle Lobby, che ne determinano scelte e strategie, ma questi “gruppi di pressione” non sono altro che forme non democratiche di rappresentanza di interessi particolari.
Si deve quindi proporre una alternativa alla crisi dei partiti tradizionali, che non cada nel controllo antidemocratico delle Lobby. Si deve quindi recuperare quelle forme di rappresentanza dei corpi intermedi che esprimano gli interessi generali e collettivi del territorio e delle categorie, attraverso un sistema realmente democratico di elezione che veda coinvolti associazione locali, sindacati di categoria, consumatori, attraverso un sistema di coinvolgimento e partecipazione che mantenga un rapporto diretto con gli elettori e che ridia nuova credibilità alle istituzioni locali e nazionali.
Solo attraverso una vera Rivoluzione che coinvolga nuovamente il singolo e la collettività di appartenenza – sia essa la Fabbrica, il quartiere o le associazioni a cui si aderisce – si possono recuperare quei valori individuali e comunitari che potranno ridare fiducia per il futuro, opportunità per i giovani e tutele per i più deboli.
Ettore Rivabella
Ottimo, a mio parere.