I “NUOVI BARBARI” E LA SFIDA DELLA TECNICA – INTERVISTA A CARLOMANNO ADINOLFI

Intervista a Carlomanno Adinolfi, membro del Comitato Scientifico di Kulturaeuropa. 

Carlomanno, sei tra i principali animatori della rivista Prometheica. Potresti spiegare brevemente di cosa si tratta e che cosa si intende per “Prometeismo” e “Accelerazionismo“?

Prometheica nasce da un’idea di Adriano Scianca, di Francesco Boco, di Andrea Anselmo e del sottoscritto, avuta dopo un incontro avvenuto circa tre anni fa. Avevamo già notato che la nostra “area” stava ripiegando verso posizioni di assoluta retroguardia, spesso anche un pò vittimista e “sfigata”, con una deriva dai tratti moralistici e “quaccheri”.

Volevamo riportare al centro una visione che parlasse di conquista, di “sfida alle stelle”, di affermazione, di volontà di forgiare il futuro anziché rifiutarlo nel nome del passato. Soprattutto sul campo della tecnologia, nei confronti della quale ultimamente – soprattutto dopo il periodo covid e lockdown che ha esasperato alcune derive psicotiche e ossessive già latenti – avevamo notato un rifiuto totale, quasi fanatico e religioso. Così come verso qualunque forma di “progresso”.

Noi volevamo riaffermare il fatto che non è la tecnologia in sé ad essere il problema – anche perché questa lettura non è altro che l’altra faccia della medaglia della visione modernista e progressista – ma l’Uomo. Se sta diventando sempre più schiavo anziché padrone delle nuove invenzioni, se il “progresso” ha portato all’atomizzazione e alla stasi anziché farci andare sulle stelle, non è colpa della tecnologia, che non è una entità oggettivata e dotata di coscienza malvagia, ma è dell’Uomo. Che deve tornare a voler superare se stesso e a usare la tecnica come ha sempre fatto fin dagli albori, da quando ha acceso il fuoco, affilato le asce, costruito la ruota e poi fondato città e costruito monumenti che sono rimasti a testimoniare per secoli la sua affermazione mentre conquistava i mari e i cieli.

È questo il senso del Prometeismo e il motivo per cui è nata Prometheica.

Per Accelerazionismo si intende tutto e il contrario di tutto. Fondamentalmente, è l’idea per cui bisogna accelerare i processi in atto piuttosto che contrastarli, poiché il contrasto non fa che rallentarli momentaneamente, ma al contempo rafforza gli equilibri a vantaggio di chi li gestisce. Poi ci sono letture estremizzate da una parte e dall’altra, da chi pensa che bisogna accelerare il capitalismo per portarlo alla sua fine a chi vorrebbe accelerare il Kali Yuga per arrivare prima a una nuova Età dell’Oro…

Io personalmente non sono d’accordo con nessuna di queste estremizzazioni, ma concordo sul fatto che porsi come semplice freno a mano di processi in atto non porti al loro arresto, ma solo a una loro affermazione, magari inizialmente più moderata, ma che negli anni arriverebbe a compimento. Penso invece che si debba cavalcare i processi nel momento in cui sono più dinamici e caotici, sfruttare le loro naturali contraddizioni, inserirsi nelle fratture che per forza di cose si vengono a formare e a quel punto avere voce in capitolo quando un nuovo equilibrio si assesta. 

È ormai questione nota che, di fronte alle nuove sfide della contemporaneità, buona parte dell’Area Identitaria si sia da tempo ripiegata su posizioni reazionarie e non propositive. Come spiegheresti questa deriva “neo-conservatrice”? La ritieni coerente con l’Idea di Tradizione?

Credo che questa deriva dipenda da molti fattori.

Il primo è la logica del ghetto. Siamo gli sconfitti della guerra, gli eredi di un’Idea che è stata definita “male assoluto”, apparteniamo a una visione del mondo che viene espressamente condannata come nemico numero uno di questa epoca. E quindi molti, anziché avere un approccio dettato dalla volontà di conquista, anziché costruire una contro narrazione e modellare un nuovo modello da contrapporre a quello dei nostri nemici, si sono trincerati dietro la scusa de “il mondo non ci vuole” e quindi hanno assunto questo atteggiamento di rifiuto netto a priori verso qualunque cosa non faccia parte di un passato idealizzato e “bucolico”. Che poi questo passato idealizzato è stato “traslato” con il cambio generazionale, tanto che non si ha più nostalgia del Ventennio – cosa che sarebbe stata comunque sbagliata, ma almeno avrebbe avuto un senso – ma degli anni della propria infanzia. Ora è l’era della nostalgia anni ’80, ad esempio, ma presto arriverà quella degli anni ’90…

Un secondo fattore, che è strettamente legato al primo, è l’incapacità totale della Destra istituzionale di uscire dal “complesso della non accettazione” e dell’essere vittima della narrazione colpevolista della sinistra. Per cui, invece di creare un proprio linguaggio e modellare una nuova visione, essa si accoda all’agenda della sinistra e cerca di darne una versione più edulcorata, più moderata e reazionaria, poiché parte da una pura e semplice “reazione” all’agire del nemico.

Il terzo fattore, quello più recente ma probabilmente più catastrofico, è una costante americanizzazione del linguaggio e della cultura. Con l’avvento di internet, le persone si sono impigrite anche per quanto riguarda la propria formazione. Perché leggere i fondamenti della nostra Weltanschauung quando puoi avere il fai da te con i blog, i forum ed i social, che invece di letture complesse forniscono facili “risposte” e schemi elementari? Ed ecco che il modello culturale americano, che per forza di cose attecchisce solo in chi ha una dimensione culturale minima, fa breccia. Non è un caso che la destra europea sia ora abbarbicata in un conservatorismo dai tratti “wasp” e abbia portato in casa teorie e battaglie incompatibili con la civiltà europea, dal messianismo al complottismo in stile QAnon fino alla battaglia per il possesso delle armi o il maschilismo beta in salsa incel.

E tutto questo, che appartiene in toto a un’altra civiltà, incompatibile con la nostra, viene scambiato per Tradizione. Peccato che non sia la nostra.

Alla luce di tutto ciò, ritieni comunque possibile coniugare Tradizione e Prometeismo, magari in una Sintesi innovativa?

Non è che sia possibile, è che non può che essere così.

Bisogna uscire dall’equivoco per cui Tradizione è qualcosa di antico e inconciliabile con l’adesso. Come diceva Venner, “la Tradizione non è il passato, ma al contrario ciò che non passa e che sempre ritorna in forme diverse”. Purtroppo, molti pseudo-tradizionalisti si fermano invece solo alla forma e pensano che Tradizione sia solo sandali e toga o armature lucenti, quando invece la sfida è proprio trovare le forme con cui la Tradizione possa essere colta anche qui ed ora.

Questa è la sfida di Prometheica. Il Prometeismo non è un’invenzione folle di un gruppo di spostati, è solamente la riproposizione con un linguaggio moderno di una spinta che ha sempre caratterizzato l’uomo europeo.

Si pensi al vitalismo romantico, o al superomismo nietzscheano o al Futurismo solo per parlare degli ultimi due secoli. Ma l’uomo europeo è da sempre stato spinto dal “fuoco della conoscenza”, è da sempre quello che più degli altri ha modellato il mondo intorno a sé attraverso la scienza e la tecnica. Anche il simbolismo intrinseco del Prometeismo è molto tradizionale: riporta in auge il mito di Ercole e Prometeo, la figura di Vulcano che forgia le folgori per il sommo Dio celeste, la figura sapienziale di Atena come dea delle arti che portano Ordine nel Caos…

Prometeismo non è altro che la volontà di affermazione e di modellare un nuovo Ordine da un Caos o da uno stato selvaggio. È l’essenza stessa, quindi, dell’Uomo Europeo. Più Tradizione di così…

Il Mito d’Europa è compatibile con la filosofia e la prassi del Prometeismo?

Se il Prometeismo non è altro che l’essenza dell’Uomo Europeo, ne deriva che il Mito d’Europa non solo è compatibile, ma è essenziale.

Purtroppo siamo eredi di un grosso equivoco per cui si sovrappongono Europa e politiche comunitarie della UE e quindi quelle che nei decenni passati erano delle giuste e sacrosante battaglie contro la burocrazia eterodiretta dell’Unione si sono piano piano trasformate in un antieuropeismo puro e semplice, per cui ora non solo si critica la UE in quanto Istituzione, ma si mette in discussione il concetto stesso di Europa. Addirittura, si arrivano a criticare anche le prospettive interessanti e positive di Autonomia Europea, perché “tanto non sarebbe la Nostra Europa” e così ci si avvita in un vortice incapacitante da cui è impossibile emergere. Anche la “stagione sovranista”, che poteva essere potenzialmente interessante, ha invece lasciato solo strascichi di questo tipo, facendo regredire la visione politica di quasi un secolo.

Io credo che i movimenti politici debbano invece abbandonare totalmente gli schemi usati finora e forgiare nuove parole d’ordine e nuovi miti.

Serve soprattutto avere una nuova Visione dell’Europa, una nuova Idea da incarnare. Non si può più solo adagiarsi su frasi oramai svuotate di ogni significato pratico come “non l’Europa delle banche ma l’Europa dei popoli”. Ok, tutto giusto, ma che vuol dire? Serve pensare un’Europa politica, economica e militare che sia realizzabile e non sia soltanto un patto economico finanziario o la “burocrazia dei progetti erasmus”. Ma soprattutto, serve un nuovo modello culturale, etico ed estetico.

Purtroppo anche in questo caso rientra in gioco quel fattore di americanizzazione forzata, per cui noi europei ci sentiamo non solo provincia dell’impero statunitense, ma addirittura ci sentiamo culturalmente legati al loro modello, tanto da cercare di adattarlo al nostro modus vivendi. E quasi si ha paura di dire il contrario, perché ci hanno inculcato quel senso di colpa per cui ogni cosa che succede è colpa del nostro passato europeo colonialista bianco, ecc. ecc., e quindi dobbiamo abbandonarlo, rinnegarlo, rifiutarlo.

Dobbiamo invece tornare ad essere fieri dei nostri oltre quattromila anni di Civiltà, rifiutare qualunque dottrina che ci imponga il pentimento e la colpa, ribadire che il nostro stile di vita non può essere quello americano. Dobbiamo imporre un modello alternativo che poggi sulla nostra storia millenaria e che proprio per questo non può che disprezzare ciò che ci viene imposto da oltre oceano.

Ma non deve essere neanche questo un ripiegamento felice verso un passato idealizzato. Paradossalmente, dobbiamo porci quasi come “nuovi barbari”, come nuova forza che irrompe nella Storia e che sappia costruire sulle rovine dei millenni, che non abbia la nostalgia dei castelli e delle cattedrali, ma che sia capace di immaginare quelle che potrebbero essere il loro equivalente del Terzo Millennio. E al contempo, proprio come “barbari” portatori di una nuova forza, spazzare via brutalmente, a colpi di “ascia futurista”, quella decadenza mortifera rappresentata tanto dal wokismo di sinistra che dal conservatorismo “wasp” di destra, sui cui si può e si deve solo gettare sale. 

Robotizzazione, Intelligenza Artificiale, erosione della Sovranità nazionale, questione energetica, digitalizzazione, fine della rappresentanza politica, trasformazione del lavoro, sono solo alcuni dei nodi che stanno definitivamente venendo al pettine. Come pensi che debba porsi in merito un’Avanguardia politica?

Sono proprio queste sfide che portano alla necessità di avere un’Avanguardia che possa affrontarle. Sfortunatamente sono invece tutte tematiche verso le quali nel nostro “ambiente” ci si pone in una posizione di reazione, spesso anche becera e a tratti insopportabile. Penso ai temi ecologici ed energetici, dove la risposta al ridicolo e palesemente manovrato “effetto Greta” si risponde glorificando il consumo e l’inquinamento più smodati. Invece, proprio la “transizione energetica”, se dominata e non subita dai nostri concorrenti, potrebbe portare non solo a nuovi equilibri in cui non saremmo più in posizione subalterna, bensì autonoma e alternativa, ma anche alla costruzione di un nuovo modello in cui si possa finalmente tornare a integrare Uomo e natura, mantenendosi nel solco della bellezza…

Per sintetizzare, quindi, bisogna essere prometeici.

In questo modo, la robotizzazione potrà essere uno sprone per arrivare a fare quello che con le sole mani non potremmo mai neanche concepire. Allo stesso modo, le AI e le tecnologie quantistiche dell’informazione potranno darci un potenziale di calcolo inimmaginabile e permetterci di affrontare sfide mai affrontate prima. Si tende solo a guardare il rischio che potrebbe vedere l’uomo cedere ogni decisione agli algoritmi e alle macchine. Rischio altissimo, ma che di certo non si affronta con un approccio “luddista”.

Invece, personalmente ritengo che è proprio riaffermando lo “spirito di conquista” anche nel digitale e nella robotica che l’Uomo Europeo potrà finalmente uscire da questo sonno ipnotico in cui è stato confinato e tornare a forgiare modelli di Civiltà. Modelli in cui il lavoro non sia più una alienazione che schiavizza e che serve solo a raggranellare “gli spicci” per sopravvivere, ma sia davvero una forma di miglioramento e crescita e che a cascata crei nuovi modelli partecipativi e attivi che coinvolgano anche la politica, da quella sociale a quella territoriale fino ad arrivare a quella nazionale e poi continentale.

REDAZIONE KULTURAEUROPA

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