L’egemonia turca nel Mediterraneo orientale e in Libia ha amplificato le preoccupazioni geopolitiche delle nazioni vicine.
La Grecia si è schierata anche oltre il Mar Egeo, area delle tensioni storiche turco-elleniche, al fine di allearsi con altre nazioni levantine: Israele, Egitto e Cipro, etnicamente e culturalmente simile ad Atene, ma costretta a dividere l’isola con la Repubblica Turca di Cipro Nord, riconosciuta e sostenuta militarmente solo dalla Turchia.
Lo scontro fra questo sistema di alleanze incrociate (Turchia-Tripolitania e Grecia-Cipro-Egitto) si squaderna proprio sulle acque del Mediterraneo comprese fra questi Stati, per mezzo di esercitazioni congiunte, accordi per la delimitazione marittima ed esplorazioni petrolifere, fino ad arrivare a scontri tra le imbarcazioni delle rispettive Guardie Costiere.
A questo nuovo espansionismo turco si è legata la competizione per assicurarsi il controllo delle risorse energetiche del bacino levantino, fondamentali per le necessità di diversificazione dell’Unione Europea.
La Turchia, dal 2011, ha stretto rapporti con le instabili autorità libiche, dal Consiglio Nazionale di Transizione fino al Governo di Accordo Nazionale di Fayez al-Sarraj a Tripoli, con cui Ankara ha firmato nel 2019 un accordo per la delimitazione dei confini delle rispettive Zone Economiche Esclusive (ZEE).
Questo accordo, ampiamente criticato dalla comunità internazionale, ha messo in allarme specialmente la Grecia, che ha visto la ZEE turca espandersi fino a lambire le isole di Creta, Rodi e Kastellorizo, e l’Egitto, che ha visto la ZEE libica espandersi a spese della propria. Questo ha spinto i due Stati costieri a unirsi per contrastare l’espansionismo di Erdogan, stilando nel 2020 un proprio accordo per la delimitazione delle ZEE, che si sovrappone in parte al braccio di mare interessato dall’accordo turco-libico.
Nel 2021 inoltre i due Paesi, con l’aggiunta di Cipro, hanno firmato un’intesa tripartita per la cooperazione militare in risposta alle operazioni di esplorazione e trivellazione turche nelle acque cipriote internazionalmente riconosciute. L’alleanza con il Cairo ha aperto allo Stato ellenico la possibilità di ricevere supporto anche dagli alleati dell’Egitto, ugualmente rivali della Turchia: ciò si è potuto notare con le esercitazioni congiunte svoltesi nel corso del 2021 e del 2022, che hanno visto la partecipazione non solo della Grecia, dell’Egitto e della Repubblica di Cipro, ma anche dell’Arabia Saudita e degli EAU.
L’Egitto continua quindi a mantenere la postura anti-turca inaugurata da al-Sisi dopo la deposizione di Morsi nel 2013, sia mediante il supporto a Khalifa Haftar in Cirenaica che attraverso il contrasto alle ambizioni turche nel Mediterraneo orientale, oltre ad avere diversi contenziosi aperti con l’Etiopia, prima fra tutti la costruzione della GERD, che gode del supporto proprio di Ankara. Per questo motivo, Erdogan ha tentato nell’ultimo anno di riavvicinarsi al Presidente al-Sisi (si veda anche la stretta di mano fra i due avvenuta a Doha in occasione dei mondiali di calcio del 2022), al momento senza però troppo successo.
Un altro focolaio di tensione, come già detto in precedenza, si rileva nell’isola di Cipro e nelle acque circostanti: se infatti non si sono avuti scontri di una qualche rilevanza dal 1974, anno dell’intervento militare turco e della fondazione della Repubblica Turca di Cipro Nord, la scoperta di importanti giacimenti di idrocarburi off-shore nelle acque internazionalmente riconosciute come cipriote ha riacceso la competizione fra la Turchia e gli alleati della Repubblica di Cipro.
Lo scontro è ulteriormente alimentato perchè la Turchia non riconosce formalmente la Repubblica di Cipro e inoltre non è presente ne la UNCLOS (Convenzione sulla Legge del Mare dell’ONU del 1982), nella quale è regolamentata la definizione e la procedura per la dichiarazione e la delimitazione delle ZEE.
Nel 2011 la Turchia ha però firmato un patto al fine di iniziare operazioni di esplorazione e trivellazione per gli idrocarburi mediante la TPAO, la compagnia nazionale turca per gli idrocarburi. L’accordo di dodici anni addietro concede alla Turchia delle zone internazionalmente riconosciute come facenti parte della ZEE della Repubblica di Cipro. Inoltre la RTCN rivendica, con il supporto turco, il diritto allo sfruttamento delle risorse di blocchi affidati alla TPAO. Con le sempre maggiori scoperte di giacimenti di gas naturale nel Mediterraneo orientale (Aphrodite e Zeus-1 in acque cipriote, Tamar 1, Leviathan, Zohr e Karish in zona levantina).
Dal 2013 al 2015 la Turchia ha portato avanti operazione di esplorazione in acque cipriote con una scorta di navi della Marina turca, mentre nel 2018 sempre la Marina turca ha impedito a una nave per l’esplorazione dell’ENI di avvicinarsi a un giacimento da poco rilevato. Impedire lo sfruttamento delle risorse energetiche da parte della Repubblica di Cipro è vitale per la politica turca: impedire a una nazione oggi avversaria e domani nemica di accedere a ulteriori risorse energetiche ottenendo allo stesso momento l’accesso a diversi giacimenti sia per sé che per la RTCN.
Se Cipro potesse sfruttare senza problemi le sue riserve di gas, garantirebbe all’Unione Europea un utile e fondamentale punto di approvvigionamento per le sue necessità energetiche interno allo spazio dell’Unione, soprattutto in vista del bisogno di affrancarsi dal gas russo. Ciò ridurrebbe l’importanza del progetto turco di costituire un hub per il gas proveniente dalla Russia, dal Caucaso e dall’Asia Centrale.
Proprio la rinnovata necessità degli Stati UE di trovare fornitori alternativi alla Federazione Russa per il gas naturale ha rafforzato lo schieramento anti-turco nell’area, ma ha anche creato alcune divergenze, soprattutto con l’Egitto.
Già nel 2019 infatti, Egitto, Israele, Giordania, Autorità Palestinese, Cipro, Grecia, Italia e Francia si erano riuniti nel Eastern Mediterranean Gas Forum al fine di sviluppare e coordinare gli sforzi per sfruttare i rilevanti giacimenti scoperti negli anni precedenti.
È all’interno di questa cornice istituzionale che sono stati portati avanti alcuni dei progetti strategici per l’approvvigionamento energetico dell’UE. Uno fra questi è il progetto del gasdotto EastMed, che dai campi gasiferi nelle acque israeliane dovrebbe passare per Cipro, poi Creta e infine toccare terra nel Peloponneso orientale, per poi attraversare l’Adriatico attraverso il TAP e inserirsi nel circuito comunitario dall’Italia.
Il progetto ha scatenato le ire della Turchia, che ha accusato i promotori di escluderla volutamente, ma anche dell’Egitto, anch’esso escluso dal progetto, rischiando di vedere le sue risorse energetiche rimanere inutilizzate. La pianificazione del gasdotto ha poi attraversato fasi alterne: nel 2019 è stato dichiarato un Progetto d’Interesse Comune dalla UE e nello stesso anno e in quello successivo diversi accordi sono stati firmati fra Israele, Grecia e Cipro. Nel gennaio 2022 gli USA hanno però ritirato il supporto al progetto, mettendone in dubbio la sostenibilità economica, che in questo modo sembrava dover essere abbandonato.
L’invasione russa dell’Ucraina ha tuttavia accelerato la ricerca dell’UE di fornitori alternativi alla Federazione Russa per l’approvvigionamento del gas naturale: questo ha avuto riflessi nel teatro del Mediterraneo orientale, primo fra tutti la marcia indietro repentina degli Stati Uniti proprio sull’EastMed, per cui sono già state lanciate le gare d’appalto per la sezione on-shore in Grecia continentale.
In generale, la necessità comunitaria di trovare fonti alternative al gas russo ha spinto gli attori della regione ad abbandonare alcune pretese e a comporre alcune dispute pur di poter assicurarsi una fetta delle importazioni europee. L’Egitto ha revocato la sua opposizione all’EastMed, ricevendo implicite garanzie grazie alla firma nel giugno 2022 insieme a UE e Israele di un MoU per l’esportazione di GNL proveniente dai giacimenti israeliani, liquefatto e caricato su navi gasiere nei terminal egiziani.
Anche Israele ha acconsentito alla firma di un accordo per la delimitazione dei confini marittimi con il Libano in ottobre, rinunciando ad alcune delle sue pretese, al fine di poter iniziare le operazioni di estrazione dal giacimento di Karish senza il rischio di attacchi alle infrastrutture da parte di Hezbollah. Anche il Libano ha, dopo l’accordo, potuto iniziare le procedure per l’esplorazione del bacino di Qana, che secondo l’accordo firmato con Israele ricade nell’area di sfruttamento del Libano. Per questo motivo Israele ha chiesto il pagamento di una parte delle royalties, da quantificare e negoziare con la compagnia che si occuperà dell’estrazione.
Anche la Turchia ha colto l’occasione per tentare di riannodare i rapporti con l’UE, con l’Egitto, i Paesi del Golfo, e Israele: all’inizio di quest’anno è stato firmato un accordo per l’esportazione di GNL dalla Turchia alla Bulgaria, mentre ha aperto a Israele (ristabilendo le relazioni diplomatiche nell’agosto 2022, dopo la loro sospensione nel 2018), EAU e Arabia Saudita, chiudendo inoltre i media legati ai Fratelli Musulmani, il principale attore espressione dell’Islam politico e nemici giurati della coalizione che lega il Cairo ai Paesi del CCG.
Ankara ha inoltre provato a trovare una composizione allo scisma libico che divide gli opposti governi guidati da Dbeibah e Bashaga al fine di convincere l’Egitto a interrompere il sostegno ad Haftar in cambio di un maggiore controllo delle autorità libiche sulle varie milizie. Sforzi che al momento, come descritto in precedenza, non sembrano aver dato molti frutti, visto anche il MoU fra Grecia ed Egitto per l’istituzione di una zona SAR (Search And Rescue) sugli stessi confini del 2020. Inoltre una corte libica ha annullato a gennaio un accordo dell’ottobre 2022 per l’esplorazione per idrocarburi nelle aree oggetto dell’accordo turco-libico del 2019.
Il Mediterraneo orientale è senza dubbio un’area di tensioni potenzialmente pericolose a causa delle dispute fra i Paesi rivieraschi, che hanno sfruttato la concomitante scoperta di vasti giacimenti di gas naturale e l’accresciuta necessità dell’UE di garantirsi fornitori alternativi alla Federazione Russa per concludere accordi e alleanze, spesso rinforzando assi strategici pre-esistenti.
In questo scenario la Turchia ha tentato di riavvicinarsi a quelli che erano diventati suoi rivali (Egitto e Israele), pur mantenendo relazioni ostili verso i suoi nemici storici: Grecia e Repubblica di Cipro.
Il ritorno dell’Italia, a cavallo tra il 2022 e il 2023, in qualità di potenza mediterranea ed europea (con il via libera di Londra e gli ostacoli di Parigi e Berlino ben saltati da Roma) sta praticamente rimescolando le carte a favore del ritorno egemonico italiano anche nel Mediterraneo orientale, preoccupando ed irrigidendo così Ankara, in pratica etichettandola incompatibile, politicamente, culturalmente, socialmente ed economicamente con l’occidente e l’Unione Europea, comunque pagata profumatamente per impedire la tratta degli esseri umani, dei nuovi schiavi “economici”, praticata dalle mafie di settore.
Fabio S. P. Iacono