POLITICA

L’EPOCA DELL’UNITÀ DELLE SCIENZE E I SUOI PROBLEMI ETICO-POLITICI

Sessant’anni fa, lo scienziato e scrittore Charles P. Snow pubblicò un piccolo libro che, tradotto in lingua italiana nel 1962 (1) diede origine, nel nostro paese, a una polemica filosofico-politica fra chi si proclamava sostenitore della cultura scientifica e chi sosteneva, invece, la cultura umanistica. L’Italia era in pieno “boom” economico e a livello di cultura da “Terza Pagina” sviluppo della cultura scientifica e progresso economico-sociale apparivano strettamente connessi – anche se il sistema formativo italiano non subì scosse significative fino al 1968 e non cambiò nella propria organizzazione prima della seconda metà degli anni Novanta. Celebri intellettuali dell’epoca, come Armando Plebe (2), Eugenio Garin (3), Ugo Spirito (3) posero il problema del senso della cultura umanistica all’interno di una società che si andava facendo sempre più tecnologica.

Ma è solo l’ampia luce di una costellazione di problemi emersi già negli anni Trenta, in particolare tra Austria, Germania e Italia.

Nel celebre La concezione scientifica del mondo di Rudolf Carnap, Hans Hahn e Otto Neurath (1929) si legge: “La concezione scientifica del mondo […] si prefigge come scopo la scienza unificata. Suo intento è di collegare e di mettere d’accordo tra loro le acquisizioni dei singoli ricercatori nei singoli ambiti scientifici. Da questo programma derivano l’enfasi posta sul lavoro collettivo, il rilievo attribuito a ciò che è comprensibile intersoggettivamente […] nella scienza non vi è alcuna ”profondità”; ovunque è superficie: tutta l’esperienza costituisce un’intricata rete, talvolta imperscrutabile e spesso intelligibile solo in singoli aspetti. Tutto è accessibile all’uomo e l’uomo è misura di tutte le cose (5).” Tutte le questioni filosofiche vanno convertite in questioni empiriche da sottoporre al giudizio della scienza sperimentale; il chiarimento delle questioni filosofiche tradizionali porta a separare gli “pseudo-problemi” e i reali problemi attraverso l’analisi logica del linguaggio, i problemi per i quali non è immaginabile una verifica empirica e i problemi per i quali essa è immaginabile. Questo non significa che quelli che sono pseudo-problemi per la scienza unificata non abbiano un’importanza esistenziale, non contino per nulla in merito alle domande sul senso del vivere; significa esclusivamente che il metodo adatto a dare loro voce non consiste nel tradurli in concetti e che la modalità espressiva adatta a essi è, invece la modalità narrativa, poetica, pittorica, musicale – l’immagine-concetto che, secondo Armin Mohler (6), caratterizzava il lascito più corposo di Nietzsche alla Konservative Revolution e all’Espressionismo è immagine che si veste di concetti per adattarsi alle conformità del razionalismo e dell’empirismo moderni ed è quello che Pareto denomina “derivazioni”.

Così sommariamente delineata, la concezione scientifica del mondo è l’autoriflessione  dello sviluppo tecnologico, come mostra il suo ricondurre il sapere al fare, l’homo sapiens  all’homo faber e, quindi, il sapere, essenzialmente come solving-problem sul piano tecnologico. Max Horkheimer, nel 1947, ha rilevato che una simile concezione del sapere confina i problemi etici nella dimensione della completa soggettività e arbitrarietà (7), neutralizzando, così, in particolare, la critica dell’economia politica che poggia su principi umanistici di natura etica irriducibili ai concetti empirici (i quali ci parlano di quello che è, non di quello che dovrebbe essere). La concezione scientifica del mondo, così, è vista come logicamente analoga alla “visione del mondo” tipica delle correnti rivoluzionario-conservatrici. Una visione del mondo contro l’altra, dunque, e la posta in gioco è l’impadronirsi della “megamacchina” (8) tecnologica. Il che è vero, ma non è tutto il vero. 

Chiediamoci: “Perché esiste la scienza occidentale?”; “A che scopo esiste la scienza occidentale?” La risposta potrebbe venire, intendendo con la parola “scienza” la “tecno-scienza” tipica dell’Occidente, dal mito di Prometeo, così come lo leggiamo nel Prometeo incatenato di Eschilo: la scienza esiste per garantire il “ben-essere” (l’eu zen dell’etica greca antica dell’epoca di Platone e di Aristotele). Ma il mito non è l’esito di una dimostrazione derivata da premesse empiriche; e il mito del “ben-vivere” umano si trova di fronte il mito del “ben-vivere” dei pochi; su quest’ultimo mito si fonda il celebre motto di Nietzsche secondo il quale “c’è una morale per chi comanda e c’è una morale per chi obbedisce”; non c’è, dunque un “ben-vivere” comune agli esseri umani, perché i rapporti di dominio fanno degli uni gli schiavi degli altri (9). Il progresso tecnologico che ha reso, molto più avanti nel tempo, superflua la schiavitù ha reso obsoleta la distinzione nietzscheana (facendone una constatazione sociologica, sia pure apologetica, di un tempo passato) e ha fatto del mito di Prometeo il mito dei nuovi schiavi, cioè dei lavoratori salariati. L’etica del “ben-essere” umano e l’etica del ben-essere dei pochi si escludono a vicenda e, nella società tecnologica avanzata, si tratta di scegliere da che parte stare, ben più di quanto si trattasse di scegliere al tempo in cui la schiavitù era un imperativo produttivo. Se senza lo sfruttamento del lavoro degli schiavi la pólis non sarebbe potuta esistere, dato il suo basso livello di sviluppo tecnologico, la società tecnologica avanzata potrebbe esistere senza lo sfruttamento capitalistico, potrebbe garantire la libertà dal bisogno per tutti. Ne consegue che la scienza non possa sottrarsi, in una società che è e resta di classe, all’alternativa politica di fondo: garantire il “ben-essere” per pochi, oppure garantire il “ben-essere” per tutti? La società di classe, notoriamente, non è il “regno del merito”: innumerevoli sono le “pietre scartate”, per ragioni meramente economiche, nella costruzione dell’“edificio sociale,” che potrebbero utilmente essere impiegate. Ma non si tratta soltanto di “pietre individuali scartate”; il sapere scientifico come patrimonio collettivo non può divenire efficace senza adeguati finanziamenti della ricerca; e se il committente è privato, niente da meravigliarsi che si proponga il conseguimento dell’utile privato e che raggiunga effetti di utilità pubblica soltanto per “eterogenesi dei fini”. Lo si è visto nel campo delle ricerche sulle energie rinnovabili: l’allarme ecologico data dai primi anni Sessanta del XX secolo, ma soltanto pochi anni fa si è iniziato a investire, per quanto in modo contraddittorio e a operare, per quanto non sempre in modo trasparente ed efficace in questo campo.

In teoria, la collettività dovrebbe sostenere la ricerca sulle energie rinnovabili. Ma che cos’è la “collettività”? Riprendendo un’immagine molto diffusa negli scrittori di politica e di diritto del XVI secolo europeo, la “collettività” è un soggetto dalle cento teste, anche quando essa non si presenta nella forma della “folla” e della “massa” di cui parlano Gustave Le Bon (10) e Sigmund Freud (11); essa è un soggetto che si attiva a tratti, quando non è organizzato attraverso uno strumento di riflessione e di azione comune e che si propone come “sapere scientifico”. Quasi sempre questo strumento (nella forma del “partito unico”, quando ha esercitato un effettivo potere politico) è andato soggetto alla “legge ferrea dell’oligarchia” enunciata da Roberto Michels nel 1910 (“chi dice democrazia dice organizzazione; chi dice organizzazione dice oligarchia (12); chi dice democrazia dice oligarchia”). Anche quando il contesto è lo Stato rappresentativo, vediamo delinearsi una minoranza organizzata a guidare la maggioranza attraverso l’esercizio del governo, via via che si manifesta una fuga dal voto e che si restringe, di fatto, il numero di coloro che si giovano dello strumento elettorale. In queste condizioni, non è strano che le decisioni siano sempre più decisioni di vertice sempre meno soggette a un controllo dal basso.

Se le cose stanno in questi termini, la scienza unificata sembra non poter essere nient’altro che lo strumento di chi detiene il potere- oggi soprattutto, il potere di concedere credito finanziario. Questo suo essere non deriva dalla sua natura, ma dalle finalità di chi detiene il potere finanziario e politico. Sulla carta esiste un’altra via, per fare della scienza lo strumento dell’utilità collettiva: la socializzazione del sapere scientifico di cui Otto Neurath è stato un precursore, prima di sviluppare il grande progetto della Enciclopedia della scienza unificata.

Dopo avere partecipato in qualità di consulente tecnico al movimento dei “Soviet di Baviera”, incarcerato e costretto a fare ritorno in Austria, Neurath si impegna nell’organizzazione di “Musei sociali” e di “Musei della Scienza” organizzati per fornire l’ “abc” della scienza e della tecnica moderne alla collettività. L’obiettivo è realizzare un controllo dal basso del modo di usare la scienza da parte delle élites tecno-economiche; un controllo che, in prospettiva, avrebbe dovuto mettere capo a un’uguaglianza economico-sociale quale base per strutturare, attraverso la formazione filosofico-scientifica, di gerarchie fondate sul merito. Neurath è convinto che il merito non risieda necessariamente negli abbienti, né nei non-abbienti: il merito va sottoposto alla prova della gestione della vita quotidiana collettiva, della gestione scientifica dell’essere nel mondo.

Il problema fondamentale della scienza dell’unità è duplice: quello della traduzione del linguaggio di ogni singola scienza in un linguaggio generale e quello della socializzazione delle conoscenze scientifiche attraverso un’opera di formazione a carattere essenzialmente didattico. L’obiettivo è strutturare una comunità in cui la vita dignitosa, cioè libera dal bisogno, sia particabile da parte di tutti, in cui il punto di partenza, nella vita sociale, sia uguale per tutti e in cui sia la competenza in ragione dell’utilità collettiva a decidere delle funzioni economiche, sociali, burocratiche da svolgere per fare sì che il complesso sociale viva.

L’unificazione delle scienze è data dal “linguaggio fisicalistico”, secondo Neurath. Con l’espressione “linguaggio fisicalistico” Neurath intende qualsiasi giudizio che si sia costruito sulle forme fondamentali dello spazio e del tempo. Le “asserzioni osservative” che contengono “da subito la massa spaziale e temporale” sono i punti di partenza per la formulazione di osservazioni predittive che, a loro volta, sono le basi per la formulazione di leggi scientifiche. Lo sviluppo del sapere si deve al continuo confronto di asserzioni sulla realtà dell’esperienza con altre asserzioni sulla realtà dell’esperienza (13). La verità di una singola asserzione, in senso scientifico, deriva dal suo accordo con le asserzioni già formulate dalla comunità scientifica. Questo è, secondo Neurath, il fondamento metodologico della scienza unificata che parla di uomini e di cose e delle loro correlazioni spazio-temporali.

Alla base della scienza unificata c’è un’opzione umanistica: la scelta (etico-politica) di proporsi il bene della collettività umana. Una scelta che implica, per essere perseguita fino in fondo, quel governo di sé indispensabile al governo di uomini e cose di cui parlava già Platone (14). Ma il governo di sé è implicato anche dall’opzione opposta, quella di Nietzsche, l’opzione superomistica. Rispetto al fine dell’azione politica il governo di sé è mero strumento: esso è il presupposto sia dell’educazione delle masse, sia della manipolazione delle masse. In ambo i casi, infatti, il politico deve saper governare sé stesso per poter governare (o manipolare) gli altri.

Questa constatazione sembra portarci in un vicolo cieco, in un vacuo scontro fra soggettivismi, fra opzioni puramente personali, fra visioni del mondo del tutto soggettive, come al tempo dei sofistici Ragionamenti duplici (15). Tuttavia, lo sviluppo della coscienza ecologica ci mette di fronte a uno scenario inedito: se opporsi allo sfruttamento presuppone un’opzione etica che può anche non essere condivisa, lo sviluppo della degradazione dell’ambiente e del clima caratteristico dello sviluppo dell’economia capitalistica ci mette di fronte alla probabile estinzione della vita sul pianeta, quindi all’azzeramento di ogni opzione di fronte a un probabile deserto della vita stessa sul pianeta. La catastrofe ambientale sarebbe, effettivamente, quella fine della storia di cui a lungo si è parlato dagli anni Novanta del secolo scorso a oggi. Se la critica marxiana e quella organicistica del capitalismo muovevano da presupposti etici e/o metafisici, il pensiero ecologico radicale si oppone al capitalismo in nome della pura sopravvivenza della specie. Sopravvivenza che potrebbe essere assicurata soltanto da un governo mondiale dell’ambiente sociale e culturale, se è vero che quello che, fino a ora ha impedito di fermare il progresso verso la catastrofe è stato l’inesistenza di un ordine mondiale in grado di imporsi sugli sviluppi industriali dei singoli Stati nel pianeta. L’esigenza di una scienza unificata e di un governo unificato dell’economia e della politica si pone come esigenza razionale cui manca, tuttavia, un “corpo” politico. Un’esigenza vecchia: si va dalla Lettera ad Alessandro Magno sul governo del mondo  di Aristotele (IV secolo a. C.) (16) a International Planning for Freedom (1942)di Otto Neurath (17), a On Fire. The (Burning) Case For A Green New Deal (2019) di Naomi Klein (18). In questa prospettiva, il governo del mondo richiede una élite mondiale in grado di governare sé stessa per poter assicurare le condizioni di base per una vita dignitosa nel pianeta a ogni essere umano. Ma la dinamica dell’economia mondiale non va in questa direzione e non potrà andarvi se non sarà stimolata adeguatamente da un’opinione pubblica mondiale; un’opinione pubblica instradata nella direzione della scienza unificata come mezzo per un governo del pianeta funzionale alla vita dignitosa dei suoi abitanti.

Utopia? Certo. Ma l’utopia è anche progetto, non, semplicemente, sogno, astrazione, perdita di contatto con la realtà. La funzione della ragione è quella di direzionare pensiero e azione verso un obiettivo, certamente complesso, ma, crediamo ineludibile. Come ha scritto Edgar Morin, “Viviamo l’inizio di un inizio” (19).

Francesco Ingravalle

  1. Cfr. C. P. Snow, Le due culture, tr. it. di Adriano Carugo, Milano, Feltrinelli, 1962.
  2. Cfr. A. Plebe, Discorso semiserio sul romanzo, Bari, Laterza, 1965.
  3. Cfr. E. Garin, L’educazione in Europa, Bari, Laterza, 1966, Introduzione.
  4. Cfr. U. Spirito, Critica della democrazia (1963), Milano, Luni, 1999.
  5. Cfr. R. Carnap, H. Hahn, O. Neurath, La concezione scientifica del mondo, tr. it. di S. Tugnoli Pattaro, a cura di Alberto Pasquinelli, Roma-Bari, Laterza, 1979, riprodotta in Massimo Ferrari (a cura di), Il Circolo di Vienna, Firenze, La Nuova Italia, 2000, p. 26.
  6. Cfr. A. Mohler, La rivoluzione conservatrice in Germania 1918-1932, tr. it. di Luciano Arcella, Firenze, La Roccia di Erec, 1990
  7. Cfr. M. Horkheimer, Eclisse della ragione, tr. it. di Elena Vaccari Spagnol, Torino, Einaudi, 1974, cap. I.
  8. Per usare l’espressione di Serge Latouche, La megamacchina, Torino, Boringhieri, 1994.
  9. Cfr. F. Ingravalle, Friedrich Nietzsche politico. Lo Stato nella prospettiva del “radicalismo aristocratico”, Padova, Edizioni di Ar, 2020, pp. 45 ss.
  10. Cfr. G. Le Bon, Psicologia delle folle (1895), tr. it. di Lisa Morpurgo, Introduzione di Piero Melograni, Milano, TEA, 2004.
  11. Cfr. S. Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921), tr. it. di Emilio A. Panaitescu, Torino, Boringhieri, 1983.
  12. Cfr. R. Michels, Democrazia e oligarchia a cura di Francesco Ingravalle, Padova, Edizioni di Ar, 2012, pp. 63 ss.
  13. Cfr. O. Neurath, La fisica del mondo, cit., pp. 40-41.
  14. Cfr. F. Ingravalle-G. Gandolfi, La scuola dei politici. Politica e scienza della politica in Platone e nell’Antica Accademia, Roma, Aracne, 2020.
  15. Cfr. I Sofisti, a cura di Mario Untersteiner, vol. 3, Firenze, La Nuova Italia, 1954; Stefano Maso (a cura di), Dissoi Logoi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2018.
  16. Cfr. Aristotele, Lettera ad Alessandro Magno sul governo del mondo, a cura di Francesco Ingravalle, Milano, Mimesis, 2013; nuova edizione con il titolo Sull’impero. Lettera ad Alessandro, a cura di Filippo Cicoli e Filippo Moretti, Milano, Mimesis, 2017. 
  17. Cfr. O. Neurath, L’utopia realmente possibile, a cura di Francesco Ingravalle e Tiziana C. Carena, Milano, Mimesis, 2016, pp. 41-79
  18. Cfr. N. Klein, Il mondo in fiamme. Contro il capitalismo per salvare il clima, tr. it. di Giancarlo Carlotti, Milano, Feltrinelli, 2019.
  19. Cfr. E. Morin, 7 lezioni sul pensiero globale, tr. it. di Susanna Lazzari, Milano, Cortina, 2016.

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