Che il mondo attuale sia il regno della dissoluzione e rappresenti, con le sue “fedi” illusorie, la negazione totale di ogni superiore Visione, è tema ricorrente nell’opera di Julius Evola (1898 – 1974).
Proponiamo la chiusa di Cavalcare la tigre (1961), tra i libri più incisivi dell’Autore troppo spesso frainteso e ingiustamente letto nei termini di un pensatore reazionario e vano esaltatore del tempo andato così come di un presunto “mito incapacitante”.
«Elevarsi di là da ciò che può essere comprensibile alla luce della sola ragione umana e raggiungere un alto livello interiore e una invulnerabilità altrimenti difficili a conseguire, sono forse delle possibilità che, attraverso reazioni adeguate, si offrono proprio nei casi in cui il viaggio nelle ore di notte non lascia scorgere quasi nulla del paesaggio che si attraversa, in cui sembrerebbe essere vera la teoria della Geworfenheit, di un assurdo “essere gettati” dentro il mondo e dentro il tempo, oltre che in un clima in cui la stessa esistenza fisica non può non rappresentare una crescente insicurezza. Se si volesse permettere alla mente di soffermarsi su di una ipotesi ardita […], una volta concepito che il vivere qui, ora, in questo mondo, ha un senso per essere sempre l’effetto di una scelta e di una volontà, si potrebbe perfino ritenere che proprio la realizzazione delle possibilità dianzi accennate – maggiormente coperte e meno concepibili in situazioni diverse e più desiderabili dal punto di vista soltanto umano, dal punto di vista della ”persona” – sia la ragione ultima e il significato di una scelta da parte di un “essere” che per tal via ha voluto misurare sé con una difficile misura: proprio col vivere in un mondo opposto a quello conforme alla sua natura, cioè opposto al mondo della Tradizione.» (1)
(1) J. Evola, Cavalcare la tigre, Milano, Vanni Scheiwiller, 1961, pp. 224-25.
REDAZIONE KULTURAEUROPA
Particolarmente opportuno.