Scenari nucleari
Il tema dello sviluppo dell’energia nucleare è oggi al centro del dibattito politico ed economico. Gli sfidanti obiettivi climatici, la sicurezza degli approvvigionamenti e l’esigenza di famiglie e imprese di avere a disposizione energia a prezzi convenienti rendono la trasformazione del sistema energetico una necessità inderogabile ed urgente, ed evidenziano con chiarezza la necessità per le singole nazioni e le macro-regioni del mondo di ripensare al proprio futuro energetico e al mix necessario a garantirli. Tale trasformazione è già in atto da almeno un ventennio e a ritmi crescenti, spinta certamente da interventi di supporto dei policy maker ma sempre più da motivi economici: si pensi ad esempio alle rinnovabili anche decentralizzate lato produzione di energia, alle nuove tecnologie lato consumo come i veicoli elettrici o le pompe di calore. E mentre rinnovabili ed elettrificazione sono delle opzioni no-regret, il mondo sembra non poter rinunciare in questo momento e nel futuro al nucleare. Diversificazione delle fonti, disponibilità di energia di base, flessibile e decarbonizzata ed economicità (se confermata), impongono di considerare anche il nucleare nelle possibili scelte, non solo per i paesi che già ne dispongono, ma anche per gli altri.
I trend recenti e gli scenari futuri delle maggiori agenzie internazionali, delle istituzioni e delle organizzazioni di settore vedono da qui al 2050, in particolare in quelle regioni dove obiettivi di net zero sono in via di definizione, un costante declino dell’utilizzo delle fonti fossili – solide e liquide e gassose -, il continuo sviluppo delle rinnovabili, l’aumento dell’elettrificazione negli usi finali (dal 20% odierno a oltre il 50%), l’avvento di nuovi combustibili rinnovabili o a bassa intensità di carbonio come l’idrogeno e suoi derivati, l’utilizzo in generale di nuove tecnologie lato produzione e consumo e nel sistema (reti intelligenti, batterie) che permettano l’emergere di un sistema energetico integrato e decarbonizzato. E nel report dell’IPCC (International Panel Climate Change) del 2018, tutti gli scenari di decarbonizzazione al 2050 prevedono a livello globale un aumento dell’utilizzo dell’energia nucleare che va da un minimo di +100% ad un massimo di +722% .
In questo scenario, l’emergere della crisi energetica nell’immediato della ripresa post COVID, acutizzatasi con la guerra in Ucraina, ha rimesso in discussione, in particolare in Europa – la regione più colpita dagli effetti pervasivi sull’economia dell’’aumento dei prezzi del gas e dai timori sulla sicurezza degli approvvigionamenti – non tanto gli obiettivi di decarbonizzazione a lungo termine, quanto il modo e la traiettoria da seguire per raggiungerli, quali tecnologie utilizzare.
Il gas naturale, considerato come una fonte energetica necessaria nella transizione – nei suoi usi attuali per la produzione di energia termica per i processi industriali e il riscaldamento degli edifici e per la generazione di elettricità a emissioni ridotte rispetto al carbone e con caratteristiche di flessibilità necessarie in un sistema elettrico dominato nel prossimo futuro da rinnovabili intermittenti – non sembra più garantire quelle caratteristiche di sicurezza sulla sua disponibilità ed economicità che ne hanno fatto un componente imprescindibile del mix energetico da perseguire anche negli anni a venire, non solo nella situazione di crisi odierna, ma anche nel futuro.
Ecco dunque che il nucleare, tecnologia ampiamente utilizzata nel mondo per la produzione di elettricità baseload a basse emissioni e attualmente ancora sviluppata, seppure in misura minore nel mondo occidentale, come spesso è avvenuto nella storia del suo sviluppo a valle di crisi energetiche, rientra nella discussione dei policy makers e dell’opinione pubblica come possibile fonte primaria sicura e decarbonizzata su cui contare. L’interesse per il nucleare non si è mai interrotto neanche in Europa, seppure lasciato alla scelta degli Stati Membri: questo non solo nei paesi che già dispongono di questa tecnologia nel loro mix produttivo, alcuni dei quali stanno costruendo nuovi impianti, ma anche in nuovi paesi che intendono sviluppare capacità nucleare nei prossimi anni con discussioni e programmi più o meno avanzati. Il nucleare è stato d’altronde di recente incluso nella tassonomia europea delle attività “sostenibili”, condizione non sufficiente ma senza dubbio abilitante alla realizzazione di nuovi investimenti.
Gli scenari delle maggiori agenzie internazionali vedono dunque la permanenza del nucleare nel mix produttivo mondiale come necessario per assicurare la disponibilità di energia elettrica decarbonizzata e in grado, in una certa misura, di seguire con flessibilità la domanda, a complemento delle tecnologie rinnovabili. Tale necessità è ancora più evidente o, quanto meno, considerata con maggiore attenzione, nella situazione di crisi odierna, nell’ottica di riuscire a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti attraverso la diversificazione e lo sfruttamento di risorse domestiche.
Prendendo a riferimento lo scenario NZE della Agenzia Internazionale dell’Energia, la potenza di impianti nucleari installata nel mondo raddoppia da oggi al 2050, arrivando a più di 800GW dai circa 400GW odierni. La maggior parte (90% circa) della nuova capacità (al netto di quella che andrebbe a compensare le centrali che verrebbero ritirate dalla rete e soggette a decommissioning) verrebbe da Cina ed altre economie emergenti; le economie avanzate vedrebbero un aumento del 10% della potenza, con i ritiri che verrebbero più che compensati da nuove installazioni grazie a nuovi programmi di sviluppo principalmente negli Stati Uniti, Francia, Inghilterra e Canada.
L’interesse per il nucleare è rivolto non solo alle tecnologie classiche esistenti più o meno evolutive e ai grossi impianti centralizzati, ma anche a nuove ed innovative soluzioni, come gli Small Modular Reactors, che promettono non solo una maggiore sicurezza e un ridotto problema di smaltimento, ma anche maggiori certezze sull’economicità della soluzione. In questo scenario espansivo in relazione all’energia nucleare, gli small modular reactors (SMR) presentano infatti indubbiamente caratteristiche favorevoli (taglia, certezza sui tempi e i costi di investimento, finanziabilità, sicurezza, gestione dei rifiuti) per una nuova generazione di impianti nucleari, in linea con le aspettative degli investitori e dei governi. La tecnologia più vicina a un possibile sviluppo nel prossimo decennio è una evoluzione della classe di reattori attuali ad acqua leggera, con technology provider e modelli occidentali disponibili seppur ancora da realizzare in progetti concreti di prototipazione o direttamente di “first of a kind”; nuove tipologie di impianto più rivoluzionarie necessitano ancora di una fase di ricerca e sviluppo importante.
Attualmente più di 70 modelli di SMR sono in fase di sviluppo nel mondo a diversi livelli di TRL e di LRL. Due di essi sono entrati di recente in esercizio (uno in Russia, del tipo mobile montato su una nave che poi cede energia sulla terra ferma nella zona artica, ed uno in Cina) e tre in costruzione (in Argentina, Russia e Cina). Più del 50% dei modelli, e quelli con TRL/LRL più avanzato, sono reattori ad acqua leggera che di fatto costituiscono una evoluzione della tecnologia odierna con scala ridotta, gli altri sono nuove tecnologie (anche di IV generazione), di diversa natura (reattori veloci al sodio, a gas ad alta temperatura, a sali fusi, al piombo…) e con TRL più bassi. Tralasciando Russia e Cina che hanno in sviluppo numerosi reattori, nel mondo occidentale i più avanzati, anche in termini di supporto governativo e di programmi di finanziamento ad-hoc per gli SMR, sono Stati Uniti (con Nuscale, ma anche il reattore ad acqua bollente di GE-Hitachi), Canada, Francia (con EDF/CEA e il reattore Nuward) e Inghilterra (con Rolls Royce). A questi tuttavia si aggiungono numerosi paesi (anche potenziali new-entrants nel nucleare) che hanno in programma lo studio e la decisione di sviluppare SMR (in Europa Finlandia, Olanda, Repubblica Ceca, Romania, Paesi Baltici, Svezia). In termini di vendors e designer, si deve sottolineare la vivacità del panorama di attori industriali (non solo già consolidati ed attivi nelle attuali tecnologie, ma anche e soprattutto nuovi), in competizione tra loro nell’avanzare nel design e in grado di catturare finanziamenti non solo pubblici, ma anche e soprattutto da venture capital.
È tuttavia evidente che sono ancora pochi gli SMR in esercizio e in costruzione e non esiste, dunque, un ritorno di esperienza sufficiente per garantire il rispetto dei vantaggi che, almeno sulla carta, questi impianti promettono. Sarà necessaria, inoltre, una selezione (da parte dei possibili investitori ma anche dei governi) di qualche modello tra gli oltre settanta in studio e sviluppo: per permettere l’emergere di economie di serie e quindi l’economicità della soluzione è importante infatti permettere la realizzazione in serie di molti impianti standardizzati e quindi senza sensibili modifiche (dovute al sito o alla autorità di sicurezza). Anche l’approccio ai requisiti di progetto, di sicurezza e di valutazione dei design per ottenere la licenza dovrà essere armonizzato da parte delle differenti autorità di sicurezza nazionali, superando quindi l’approccio attuale che vede, seppur in un’ottica di collaborazione, ogni autorità di sicurezza nazionale come unico interlocutore, in grado di chiedere modifiche importanti al design indipendentemente da quanto stabilito da quelle degli altri stati.
Questo permetterebbe di supportare un mercato globale (o quanto meno regionale) e l’affermarsi di una value-chain solida (incluso nel ciclo del combustibile), in grado di replicare in serie i processi di fabbricazione e costruzione. Il supporto da parte del pubblico e dei governi (finanziamenti, quadro regolatorio, mitigazione del rischio prezzi nel mercato elettrico) sarà infine necessario per permettere agli investitori di valutare i rischi e prendere le decisioni di investimento.
I prossimi anni saranno decisivi ed è necessario partire con la selezione delle tecnologie e le prime realizzazioni, in particolare nel mondo occidentale. Solo allora, e con i primi ritorni di esperienza, sarà possibile giudicare sulla bontà della soluzione tecnologica SMR. Mentre i paesi più avanzati in termini di industria nucleare (impianti in esercizio, presenza di vendors ) saranno probabilmente i primi a partire con lo sviluppo prendendosi dei rischi (e in seguito i possibili benefici nell’esportare tecnologia), i paesi che intendono entrare nel nucleare o riprendere con la costruzione di impianti pur non disponendo di una tecnologia, dovranno essere attivi nel dialogo internazionale tra stakeholder ed essere pronti con un quadro legislativo, regolatorio ed industriale abilitante.
Appare dunque chiaro che anche in questo emergente settore del nucleare di piccola taglia, o si comincia, e da subito, a studiare e partecipare al dibattito, o non resta che assistere da spettatori.
Ripensare il mix energetico, senza tabù
In Italia, nonostante numerose pubblicazioni scientifiche dimostrino ampiamente il rilevante ruolo del nucleare per la transizione ecologica e per la decarbonizzazione del sistema industriale, tanto che lo stesso nucleare è entrato, non senza polemiche, nella tassonomia verde dell’Unione Europea, si sono alzate diverse voci contrarie a prescindere, che non contribuiscono alla comprensione del complesso tema energetico ed escludono a priori una corretta analisi dei costi e delle opportunità delle diverse fonti energetiche.
Il nucleare, che in Italia ha vissuto per molti anni una vita quasi nascosta, andrebbe invece studiato e compreso in profondità, e quindi valutato come opzione strategica per il mix energetico nazionale e continentale, come energia sostitutiva al gas e come tecnologia complementare, e non alternativa, al fotovoltaico e all’eolico; andrebbe analizzato con un pensiero finalmente libero da preconcetti e privo di ideologici tabù.
L’Italia, che per due volte, a valle degli incidenti di Chernobyl e di Fukushima, ha per via referendaria di fatto escluso il ricorso all’energia nucleare – nel 1987 portando alla chiusura anticipata degli impianti in esercizio e all’interruzione dei lavori in una centrale in costruzione, nel 2011 bloccando il programma nucleare allora in definizione di costruire una serie di centrali di tecnologia francese – non è comunque esclusa dalla tendenza di rinnovato interesse, sia in una certa classe politica che in parte dei cittadini. Pur sembrando molto difficile, ad oggi, prevedere la messa in discussione di tale scelta, è senza dubbio fondamentale capire, senza semplificazioni, come la tecnologia nucleare si posiziona nello scenario energetico dei prossimi anni.
L’Italia nell’era della transizione ecologica, e in questa drammatica guerra dell’energia, può giocare un ruolo da grande protagonista nel quadro europeo: per la sua posizione geo-strategica, che la rende hub naturale per gli approvvigionamenti che provengono dal Mediterraneo, per l’attuale consistenza nazionale del sistema delle rinnovabili, per la presenza di grandi imprese di rilevanza internazionale, con le quali trainare una modernizzazione energetica basata sul controllo di tutte le fonti – gas e petrolio, rinnovabili, nucleare – e anche finalizzata sia a lottare contro il cambiamento climatico che a difendere la capacità di produzione industriale, e a rafforzare l’innovazione.
In questo turbolento scenario, il nucleare di piccola taglia è una nuova grande sfida per lo sviluppo nel medio periodo di un sistema di energia distribuita, integrata alle fonti rinnovabili e sempre più indipendente dalle fonti fossili; una sfida da studiare e da valutare con grande attenzione, che potrebbe vedere il nostro paese, ancora molto ricco di capacità industriali e di forza innovativa, come protagonista, e non solo come spettatore della Grande Transizione.
Secondo l’ultimo report del giugno 2022 di Elettricità Futura, a fronte di una domanda nazionale di energia elettrica che passerà dagli attuali 318 TWh ai 360 Twh nel 2030, il nostro paese per rispettare il target europeo per la decarbonizzazione definito prima dal Fit 55 poi dal Repower Eu, dovrà installare oltre 85gw di rinnovabili entro il 2030 (coprendo con pannelli fotovoltaici e pale eoliche non più dello 0,3% dell’intera superficie nazionale ) . Con la realizzazione di questo ambizioso ma fattibile obiettivo il nostro fabbisogno elettrico verrebbe soddisfatto per almeno l’ 84% da fonti rinnovabili. Se nel breve e medio periodo il gas e’ necessario per una transizione energetica equilibrata, nel lungo periodo, quindi entro il 2030, il binomio rinnovabili-piccolo nucleare avrebbe una logica più coerente, dopo averne naturalmente valutato tutti gli aspetti, sia con l’obiettivo della decarbonizzazione sia per raggiungere una maggiore sicurezza e indipendenza energetica. Certamente se dovesse continuare prevalere la cultura del no a prescindere, questa prospettiva non verrebbe neanche presa in considerazione, sviluppandosi però in altri paesi europei.
E’ quindi di vitale importanza per la risoluzione della grave attuale crisi energetica e per la costruzione di solide basi per il futuro, che il nuovo governo del paese affronti la questione energetica con una visione libera e completa di tutte le fonti del nuovo mix energetico, e di tutte le opportunità tecnologiche, e quindi anche del nucleare; con una visione certamente più attenta ai dati e alle evidenze scientifiche rispetto ad altre più ideologiche posizioni, pregiudizievolmente contrarie a questo e a quello ed ancorate a scenari passatisti.
Gian Piero Joime