PER UN NUOVO CETO INTELLETTUALE ORGANICO

Esiste ancora un “ceto intellettuale”, o è un termine che possiamo tranquillamente consegnare al passato?

Un interrogativo non peregrino, se riflettiamo sul ruolo che oggi svolgono gli “intellettuali”, sostituiti come sono dalla categoria degli “opinionisti” o dei “tuttologi” che riempiono i giornali, i rotocalchi e soprattutto i talk show.

Spesso privi di una preparazione culturale degna di rilievo, hanno scalzato il pensiero e la sua elaborazione con veloci e sintetiche frasi ad effetto, con le quali commentano qualsiasi argomento: dal Covid, alla Guerra in Ucraina, al libro di Harry d’Inghilterra.

Si sostituiscono, con una sicumera che lascia basiti, agli specialisti che hanno speso anni ad approfondire ogni ramo della scienza.

È vero che il conformismo alberga anche nelle Università e nei luoghi accademici, che fino a 40 anni fa, piaccia o meno, sfornavano cervelli critici, ma il fatto di lasciare tutto al commento e non all’approfondimento è probabilmente una scelta di marketing voluta.

D’altra parte, l’abbassamento del livello culturale medio coincide con il declino della borghesia colta che negli anni 50 e 60, in quanto egemone, produceva anche coscienza critica.

Con l’avvento della società di massa e della comunicazione di massa, l’appiattimento del sapere verso il basso è stato veloce ed inarrestabile.

Lungi da noi essere nostalgici dello spirito borghese di una volta (tutt’altro!), ma va considerato che la decadenza del sistema educativo e formativo che ha accompagnato la società di massa, ha prodotto un livellamento verso il basso sotto gli occhi di tutti.

L’americanizzazione, che in qualche modo oggi in Europa coincide con i gusti della massa, ha prodotto il sensazionalismo informativo, il commento superficiale, facile ed alla portata di tutti, tralasciando appositamente l’approfondimento scientifico delle questioni, che viene lasciato agli addetti ai lavori ed alle elites. 

La massa si abbrutisce.

Ne soffre la letteratura, quando non è ad uso e consumo della noiosa introspezione psicologica o delle mode “fluide”, stesso dicasi per il Cinema, ma soprattutto l’autorevolezza del parere espresso che spesso è lasciato ad un giornalista o ad un opinionista/influencer.

L’Intellettuale che esprime una “coscienza critica” non esiste, se non in qualche esemplare superstite come può essere un Cacciari od un Cardini, i quali infatti quando parlano hanno facilmente il sopravvento sugli “opinionisti”.

Ma al di là dei nomi, quello che manca poi è un dibattito sui temi di fondo e sugli scenari possibili per un Popolo, per una Nazione o per la nostra Europa, un approfondimento sul ruolo della Tecnica, sul produttivismo, su quale tipo di società del futuro vogliamo.

Se il dibattito si riduce al commento “tecnico” del contingente e della notizia del giorno, senza che questo provochi una riflessione più approfondita e meditata, si rimarrà sempre in superficie, senza possibilità alcuna di vedere o immaginare il futuro.

Proprio disegnare il futuro era e resta invece il compito insostituibile dell’intellettuale che non si ferma all’epifenomeno, ma ne cerca ragioni, possibili sviluppi e conseguenze per la Comunità.

Quest’ultimo, dunque, è invece il compito assunto da Kulturaeuropa e che intendiamo assolvere al meglio: produrre un nuovo ceto intellettuale organico alle Idee, per costruire il Futuro.

REDAZIONE KULTURAEUROPA

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