LA “GUERRA FREDDA” TRA CINESI E AMERICANI

Nell’ultimo numero della rivista Domino vi sono interessanti considerazioni sulla “guerra fredda” tra cinesi ed americani. Se la geopolitica investe la competizione sui dominii di terra, aria, mare, spazio, recentemente anche la dimensione digitale è del tutto assurta a nuovo spazio in cui esercitare proiezioni di potenza.

Un anno fa il Centro nazionale di controspionaggio e sicurezza (NCSC), l’agenzia che si occupa di proteggere i sistemi di Intelligence degli Stati Uniti e di compromettere quelli dei paesi ostili, pubblicò un rapporto sui cinque settori tecnologici considerati in assoluto più strategici per l’economia e la sicurezza: accanto all’intelligenza artificiale, alle biotecnologie e ai sistemi autonomi, comparivano il computing quantistico e i semiconduttori.

A differenza di quelli tradizionali, i computer quantistici non “lavorano” sui bit, che sono 0 oppure 1, ma sui qubit, che possono rappresentare varie combinazioni possibili tra i due valori. È una capacità che si chiama “sovrapposizione quantistica” e che permette ai qubit di “esistere” in più stati nello stesso momento. Significa, in sostanza, che i computer quantistici possono calcolare simultaneamente tantissimi risultati potenziali e arrivare alla soluzione di un problema molto più velocemente rispetto agli elaboratori convenzionali.

In tema di Intelligence le decisioni del governo XI di investire 10 mld di dollari in centri per la ricerca sull’informatica quantistica è da capogiro, rispetto al miliardo messo in campo dagli USA: la corsa al metaverso genera un introito economico nel mercato cinese che supererà i 70 mld di dollari nel 2025 e nel 2030 154; in buona sostanza le aziende cinesi annunciano maxi investimenti sulla AI e RA, sia per consolidare il controllo interno della popolazione e sia per competere militarmente con gli USA. Pechino non è però autonoma nella produzione dei semiconduttori, fattori indispensabili, pesando molto la dipendenza verso le filiere produttive estere. Fattore di vulnerabilità per il Dragone che, sebbene ricco di terre rare e capacità manufatturiere, ha un’industria che soffre Taiwan e USA sui brevetti. Gli USA hanno il dominio sulla fascia alta della produzione dei microchip sul design e ricerca, mentre dipendono dalla filiera mondiale per le sezioni intermedie: Korea del Sud e Taiwan per la componentistica di base e Cina per l’assemblaggio. Gli USA puntano all’autarchia anche tramite la Taiwan Semiconductor manufacturing Company (TSMC) che sta aprendo uno stabilimento a Phoenix. In questa catena parte dal Giappone il silicio che poi finisce negli USA per i circuiti, poi vira verso il sud est asiatico per l’assemblaggio e poi dalla Cina torna negli Usa.

Gli americani hanno chiesto agli europei di contribuire al contenimento cinese e la UE con lo european chips act dovrebbe arrivare al 20% della produzione di microchip. Da ottobre sono state varate negli USA misure per costringere le società a non esportare materiale sensibile verso aziende legate alla Cina: il pacchetto di restrizioni sui semiconduttori e relativi macchinari ha indotto Apple a sospendere l’utilizzo dei chip della società cinese YMTC. Le nuove misure protezioniste americane (Biden segue in questo il trumpismo) prevedono che le aziende che esportano chip in Cina facciano licenze apposite come le aziende estere che commercializzano microprocessori con software americani. L’obbiettivo è di cristallizzare lo svantaggio cinese sul piano tecnologico. Se non esiste social network cinese capace di competere con Facebook – eccetto Tik Tok della Bytedance con un miliardo di utenti rispetto ai quasi tre di FB – l’enorme quantità di dati che sta immagazzinando ha spinto la FBI a considerare Tik Tok una minaccia che spia quella generazione che potrebbe essere chiamata a combattere contro la Cina.

L’economista Chen Wenling – capo economista al China Center for International Economic Exchanges – ha dichiarato che se USA e Occidente replicassero a Pechino le stesse sanzioni distruttive fatte a Mosca, la Cina sarebbe costretta a conquistare Taiwan per ricostruire la catena di rifornimento TSMC.

Pietro Ferrari

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