PROLETARIZZAZIONE DEL TERZO MILLENNIO

Partiamo da un dato che ci viene proposto da una recente ricerca (giugno 2022) della Fondazione Di Vittorio.

A quanto risulta dallo studio, “le retribuzioni italiane restano sotto la media dell’Eurozona e si allarga il divario con altri grandi Paesi. 

In Italia il salario lordo annuale medio, pur recuperando da 27,9 mila euro del 2020 a 29,4 mila euro del 2021, rimane a un livello inferiore a quello pre-pandemico (-0,6%), nonostante il balzo del Pil. 

Nel 2021, nell’Eurozona si attesta a 37,4 mila euro lordi annui (+2,4%), in Francia supera i 40,1 mila euro, in Germania i 44,5 mila euro. I salari medi italiani segnano così una differenza di -10,7 mila euro rispetto alla Francia e -15 mila rispetto alla Germania. 

Sono 5,2 milioni i lavoratori dipendenti (26,7%) che nella dichiarazione dei redditi del 2021 denunciano meno di 10 mila euro annui.”

A questo dato, già di per sé estremamente preoccupante, aggiungiamo l’ultima ricerca dell’Istat che testimonia come le retribuzioni medie in Italia siano scese, dal 2020, del 13%.

Tra l’altro, come se non bastasse,  l’inflazione reale è oggi intorno al 12%, con nessun meccanismo lontanamente paragonabile al meccanismo di adeguamento delle retribuzioni, vigente in Italia fino al 1985 ed abolito dal Governo Craxi, noto come “scala mobile” che permetteva l’indicizzazione parziale dei salari al tasso di inflazione nominale, non reale.

In questi anni, parallelamente, i profitti delle aziende italiane sono cresciuti ed in alcuni casi hanno fatto registrare tassi davvero notevoli, a fronte dell’introduzione di forme di lavoro sempre più “flessibili” che in numerosi contratti collettivi hanno ampliato la possibilità di assumere a costi molti contenuti e, di converso, di licenziare con molta facilità.

A questo panorama già di per sé molto atipico, possiamo aggiungere la vasta area del lavoro “nero“ che è particolarmente presente in vaste zone dell’Italia e che alimenta una concorrenzialità al ribasso dei salari, anche approfittando della forza lavoro extraeuropea presente nel nostro paese.

Si pone, quindi, nuovamente con forza la questione della redistribuzione del reddito: cresce il divario non solo tra una classe di benestanti e super-ricchi e chi viaggia veloce verso la povertà assoluta, ma il problema oramai riguarda anche quel “mare magnum” di milioni di persone e famiglie che stanno “in mezzo” e che oggi si stanno rapidamente “proletarizzando”.

Nella ristrutturazione in atto, questa ampia fascia di persone, perlopiù appartenente al lavoro salariato e/o precario, non beneficia delle misure di sostegno al reddito che i Governi solitamente destinano alle fasce più povere della popolazione – in un’ottica tipicamente liberale (le briciole…) – e in contemporanea è stritolata dall’aumento dei prezzi e dei beni di consumo, con uno stipendio in continua erosione dal 2020, come ci illustrato dall’ISTAT.

Questo gioco al massacro avviene nel totale silenzio e dimostra, ancora una volta, che le ricette liberali in economia premiano solo la fascia “alto borghese”, che oramai detiene la gran parte della ricchezza prodotta, quel mitologico PIL che quando cresce non viene affatto redistribuito, ma va a profitto esclusivamente di pochi. 

Una questione ottocentesca che ritorna di attualità con il liberalismo del Terzo Millennio.

REDAZIONE KULTURAEUROPA

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