Il Qatar-gate che sta ridicolizzando la sinistra italiana nelle burocrazie europee parte da una di quelle migliaia di lobby che cercano coi loro emissari, spesso ex parlamentari europei con libero accesso negli uffici, di influenzare e determinare le scelte strategiche dell’Unione Europea. Scandaloso? Certamente sì per chi immagina come qualcosa di alto o asettico il trono del decisore politico, meno per chi recuperando il realismo di Machiavelli e cestinando gli utopismi infantili, sa che non esiste alcuna scelta che non abbia avuto sostanziali, sottostanti ma ben dissimulati e spesso neanche limpidi interessi. Dall’alimentazione alle armi, dalle pale eoliche alla marca di mascherine, da quel tipo di farmaco a quella scelta economica, dai diritti degli animali alla superlega nel calcio, da quello specifico materiale da commercializzare a quell’investimento da effettuare, NULLA avviene senza che vi sia stata una competizione tra i cosiddetti stakeholders.
Cercando di fare luce sul fenomeno lobbistico senza pregiudizi di ordine ideologico o morale, sarà necessario riferirci alla superpotenza per antonomasia: gli USA.
Secondo Kevin Phillips negli USA vige una sorta di “democrazia teocratica” dove i gruppi religiosi organizzati rappresentano lobby elettorali decisive e così in linea di massima: battisti afroamericani, metodisti, ebrei e cattolici (ma anche islamici per la prima volta con Obama) tendenzialmente votano l’Asinello (i democratici) mentre pentecostali, evangelici e battisti “w.a.s.p.” votano l’Elefantino (i Repubblicani). Curiosamente ma neanche tanto, anche in Brasile lo zoccolo duro dell’elettorato di Bolsonaro è quello pentecostale filo-yankee.
Ogni candidato deve impegnarsi lealmente e pubblicamente a difendere determinate cause se vuole l’appoggio elettorale di queste lobbies. Vi è una grande massa di elettorato indeciso e oscillante tra l’Asinello e l’Elefantino. Il Repubblicano Mitt Romney, già Governatore del Massachussetts fu indicato come uno dei candidati migliori per battere Obama perché capace di attrarre voti degli indecisi, soprattutto per le sue competenze economiche (davanti ai flop di Obama), ma aveva un piccolo difetto per lo zoccolo duro delle lobbies religiose che gravitano attorno all’Elefantino: era mormone. Lo pagò caro.
Anni fa ebbi una conversazione interessante con un lobbista, Ernesto Di Giovanni (Founding Partner Utopia Lab – Relazioni Istituzionali, Comunicazione & Lobbying) che riporto di seguito:
Le lobbies, di ogni tipo, condizionano pesantemente la politica. secondo lei perché?
“John F. Kennedy sul NY Times, correva l’anno 1956, dichiarava che ‘ ..i lobbisti impiegano dieci minuti e tre pagine per farmi capire un problema. I miei assistenti hanno bisogno di tre giorni e di una tonnellata di cartacce.. ‘, il lobbista, invece, analizza dal suo punto di vista una questione, un problema, una criticità; sarà poi il decision maker a dover fare una comparazione tra gli interessi particolari in gioco per determinare poi la sua azione a tutela dell’interesse della collettività“
Un articolo uscito su Panorama ha destato molta curiosità in proposito. Cosa fanno i professionisti del lobbying?
“Aiutano i rappresentanti della democrazia a decidere. Si può infatti decidere correttamente nell’interesse generale, tanto meglio quanto più si conoscono i singoli interessi particolari che lo compongono. L’Italia, figlia della cultura della rivoluzione francese per la quale lo Stato è l’unico portatore di interessi collettivi ed è l’unico soggetto in grado di determinarli, si ritrova a dover affrontare per ultima tra i paesi industrializzati la questione delle lobbies e dei rappresentanti d’interessi. Come ci spiega perfettamente il Prof. Petrillo, docente di Diritto Costituzionale Comparato e di Teorie e Tecniche del Lobbying presso l’Università LUISS Guido Carli, nel suo ultimo libro “Democrazie sotto pressione”, vi è un moralismo strisciante nella cultura giuridica italiana che pervade anche un pezzo della coscienza civile dell’intero paese. Secondo Petrillo ‘…sembra mancare il coraggio, in Italia, di guardare alla realtà ovvero al fatto che i gruppi di pressione partecipano già ai processi decisionali, e che il problema non è dato da questo fenomeno, ma dalla condizione di oscurità che li avvolge ‘.”
Nei giorni precedenti al referendum contro il nucleare (2011) si è tanto parlato delle trame oscure dei vari Bisignani e della P4 o di come le lobbies del nucleare e dell’acqua privata avessero “imposto” al Governo di emanare leggi contro una presunta tutela precostituita del bene comune. Cosa ne pensa?
“Per fare qualche esempio della generalità delle lobbies e della loro presenza capillare in ogni settore della vita quotidiana, basti pensare a Greenpeace che da trent’anni ha impostato la sua linea di intervento in tre direzioni: educazione, azione e lobbying politica; oppure quello della European Women’s lobby che, per il riequilibrio di genere nei consigli di amministrazione, nei parlamenti e nella Commissione Europea ha mobilitato leader femminili e organizzazioni varie; o meglio ancora e in maniera più incisiva la lobby dei gay che tempo addietro riuscì a contrastare, con successo, la nomina a Commissario Europeo dell’On. Rocco Buttiglione, illustre esponente italiano visibilmente ostile alla causa omosessuale”
Capolavoro di una lobby quindi è quello di riuscire a nascondere il proprio interesse trasformandolo in un “interesse diffuso” o in “interesse collettivo”, magari indicando come lobbistico l’interesse della lobby avversaria?
“Esattamente. Riguardo i referendum appena votati (anno 2011), sarebbe ipocrita e assolutamente demagogico non ritenere incisivo e determinante il ruolo che hanno avuto le lobby antinucleariste e dell’acqua pubblica, ovvero quelle relative rispettivamente alle energie rinnovabili e alle municipalizzate e alle cooperative che gestiscono gran parte delle risorse idriche del paese. Nulla di male e nulla di scandaloso. Non tutti gli interessi vincono”
Sulla capacità pervasiva dello AIPAC e cioè della cosiddetta “lobby ebraica” nella politica estera degli USA, i lavori di Walt e Mersheimer rappresentano incontrovertibili argomentazioni che valgono come vere e proprie “prove” di come addirittura sia capitato che certi interessi lobbistici, prevalessero su quelli nazionali americani. È evidente come la pervasività di una lobby dipenda non solo dalla capacità che ha di mobilitare gli elettori “piccoli”, ma soprattutto dalla capacità che ha di mobilitare i grandi network, la simpatia dei grandi opinion-makers, i media, i bloggers più seguiti, il gradimento della élite finanziaria e accademica che “conta” quando si schiera e che “conta” quando finanzia qualcuno, anche soltanto per non far vincere l’avversario bollato come impresentabile.
Dobbiamo rassegnarci al fatto che le lobbies esistano o dobbiamo capire che vanno fatte emergere in un contesto di trasparenza?
“In Europa presso la Comunità Europea esiste un albo dei lobbisti e un registro nel quale gli italiani sono più del 40 %; in Italia è dal 1948 che si cerca di creare una legislazione a riguardo. In America il concetto di lobby risale al 1820 ai tempi del Presidente Ulysses Grant che usava ricevere i portatori di interessi nei grandi saloni d’anticamera del Congresso (da qui la parola “lobby”) e negli anni successivi si è cercato sempre di migliorare la legislazione in materia attraverso il Federal Regulation of Lobbying Act del 1946 e il Lobbying Disclosure Act del 1995, ovviamente per evitare la possibilità di abusi: il principio fondamentale è sempre e solo la trasparenza in quanto gli elettori e i cittadini devono sapere come gli interessi particolari vadano a formare e integrare l’interesse della collettività.”
Lei auspica pertanto che anche in Italia l’argomento venga affrontato con meno ipocrisia?
“Occorre un cambiamento, che inevitabilmente deve coinvolgere anche il rapporto tra le istituzioni e la società, perché le prime possano essere avvicinate sempre più alle reali esigenze delle persone, colmando questo terribile buco relazionale nei processi istituzionali a cui oggi assistiamo. Bisogna creare le condizioni affinché la democrazia sia un insieme di interessi composti e non discenda dal volere di un potere politico molte volte sordo e incapace di capire i problemi reali del mondo produttivo.“
Ritengo che comunque, oltre una certa soglia di trasparenza, vi siano e vi saranno sempre “stanze dei bottoni” per forza di cose segrete o riservate non solo ai vari R.I.I.A., Bilderberg, Trilateral Commission, C. F. R. o W.E.F.. ma a discrete ed impenetrabili conventicole.
Pertanto il lobbismo se non può in alcun modo essere proibito, va smascherato.
Resta il fatto innegabile che il livello medio-basso da porre sotto i riflettori renderebbe più chiaro quanto pesino realmente certe sovrastrutture oligarchiche internazionali che portano avanti interessi privati, ma anche quanto sarebbero affidabili i politici impegnati in una certa area se si fosse capaci di diventare noi stessi almeno una lobby elettorale, con pochi e chiari punti di cui chiedere conto.
Pietro Ferrari
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