E ripartiamo quindi dalla critica del capitalismo. Un punto che ci sta particolarmente a cuore, come Kulturaeuropa, e che intendiamo approfondire nelle sue dinamiche reali, convinti come siamo di non trovarci davanti ad ineluttabili “destini”, ma di dover analizzare in modo scientifico un fenomeno storico che oggi ci viene presentato come un dogma piovuto dal Cielo, ma che in realtà ha una sua genesi precisa, una sua Storia e soprattutto una sua interessata dinamica.
In questa ricerca, ci è sicuramente di aiuto un acuto e brillante saggio dal titolo “Riformare i Vinti – Storia e critica delle riforme liberal-capitaliste” di Giampaolo Conte, docente di Storia economica e Storia del capitalismo presso l’Università Roma Tre, edito da Angelo Guerini e Associati, per la collana scientifica.
Il volume, corredato da un’ampia bibliografia e da una rigorosa ricerca storica, parte dal concetto di “riforma” e ne disvela la natura di strumento riconducibile ad un chiaro disegno ideologico, dietro il quale si palesano precisi interessi di classe, nonché ben chiari riferimenti politici e culturali.
Uno strumento funzionale, quindi, che serve nell’ordine a promuovere un preciso quadro di riferimento economico, il liberoscambismo che si evolve con le “riforme” dal mondo occidentale ai paesi del resto del mondo nel vero e proprio liberalcapitalismo finanziario odierno; un quadro di riferimento sociale che pone la classe borghese e le sue elites quale volano che nei secoli ha saputo mettere al centro il concetto inalienabile di proprietà privata e di iniziativa privata, riducendo progressivamente sul piano interno i vincoli insiti in un’economia agricola e ad uso interno e nel tempo i limiti statuali non necessari allo sviluppo dell’accumulazione di capitale; un quadro di riferimento coerente con i primi due sul piano delle norme di comportamento e gli stili di vita.
In sintesi, le riforme succedutesi nei secoli – l’autore cita ad esempio la Corns Law, cioè l’abolizione della legge sul grano nell’Inghilterra del 1846 – hanno lo scopo di “indurre una trasformazione liberal-capitalista non violenta dell’autorità sovrana e possibilmente dell’intero corpo sociale”, utilizzando in modo preferenziale, ma non esclusivo, il soft power sul piano interno.
Difatti, le regole di quest’ideologia economica sono presentate come un’inevitabile conseguenza dell’ordine naturale delle cose e, aggiungiamo noi, come razionali e di buon senso, quando, al contrario, rappresentano reali interessi economici elitari e di classe, spesso a detrimento della comunità e dei paesi interessati, come la Storia ci insegna.
L’Autore identifica anche la figura centrale o “egemone” – impiegando un termine gramsciano – di questo processo lungo ma che dispiega oggi tutta la sua potenza, nell’Inghilterra della prima Rivoluzione industriale che attraverso la rapida trasformazione della sua economia interna e l’impiego dell’accumulazione di capitale in termini di aumento del saggio tendenziale di profitto, riesce nei secoli ad acquisire un ruolo-guida sia nella promozione dell’ideologia liberale che della sua proiezione economica capitalistica nel mondo ed in particolare in quei paesi che l’Autore ben qualifica come “semiperiferici”.
È ovvio che l’Inghilterra non sia stata l’unica potenza ad adoperare tali strumenti ideologici ed economici, sarebbe ingenuo pensarlo, come è anche noto che gli Stati Uniti abbiano dalla Seconda guerra mondiale sostituito il British Empire su questo terreno, ma indubbiamente la matrice ideologica ma anche la sua esplicazione pratica deve molto all’azione dell’Inghilterra nel mondo, tanto che nel libro si ricorre al termine “anglobalizzazione”, anche se in forma giustamente non esclusiva nè sloganistica.
In questo prezioso excursus storico, l’Autore, ci mostra con metodo e precisione come la Potenza “egemone” abbia impiegato alternativamente il “soft power” “attraverso i processi di trasformazione indotti dalle riforme funzionali ad agganciare le economie periferiche al mercato forgiato secondo le regole imposte dalla Potenza egemone e dalle altre Potenze capitalistiche consociate”, il che permette a tutti gli Stati aderenti di lavorare all’interno di un sistema di regole funzionale ad avvantaggiare quelle elites capitalistiche legate in qualche modo agli interessi delle Potenze citate.
Di qui, anche la nascita e lo sviluppo di organismi economici sovranazionali legati alla Potenza “egemone” (Wto, FMI, Banca Mondiale) tesi a promuovere regole ma anche politiche economiche “riformiste” in molti paesi semiperiferici, con conseguenze spesso negative per quei paesi, ma non di certo per il saggio tendenziale di profitto di alcuni investitori.
Naturalmente, per avere successo questa politica di “soft power” necessita anche di interlocuzioni nazionali rinvenibili in quella che una volta si definiva “borghesia compradora” e che oggi si evolve, nei paesi semiperiferici, in frazioni elitarie borghesi tese a favorire il liberoscambismo, soprattutto finanziario, per questioni di accresciuto peso specifico interno e di interessi sia politici che economici.
Ciò non ha escluso ovviamente il ricorso nella Storia all’”hard power” sia nella competizione intercapitalista tra le stesse forze economiche dominanti, sia nei confronti di Stati che hanno ostacolato, a livello interno, l’adesione e la penetrazione delle “riforme” che l’Autore descrive nel suo libro.
In conclusione, lungi dall’essere esaustiva della ricchezza analitica contenuta nel saggio di Giampaolo Conte, che invitiamo a leggere con attenzione, questa sintetica recensione intende porre all’attenzione dei lettori, la necessità di sviluppare una nuova critica al liberal-capitalismo, laddove questo terreno è stato abbandonato con troppa fretta e superficialità, preferendo abbandonarsi al fatalismo, al complottismo, oppure alla mera visione geopolitica, che se svincolata da un‘analisi dei rapporti di forza ed ideologici che muovono il capitale resta uno strumento parziale ed inadeguato alla comprensione dei fenomeni.
Di ciò, in particolare, ringraziamo l’Autore di questo pregevole testo.
REDAZIONE KULTURAEUROPA