Prendiamo spunto da un’interessante intervista a Giampiero Mughini, rilasciata a Maurizio Caverzan de La Verità lo scorso 26 novembre. Vi si annuncia l’uscita del nuovo libro del saggista, ormai ultraottantenne, dall’inequivoco titolo, da lui fortemente voluto: I rompicazzi del Novecento: piccola guida eterodossa al pensiero pericoloso. Tesi di fondo, condotta attraverso numerosi esempi di personalità controcorrente di diversi orientamenti ideologici e culturali, è che l’intellettuale debba essere un elemento di rottura nei confronti di ciò che viene acriticamente accettato e supinamente visto come naturale, eterno ed immutabile. Non tutti i riferimenti ci sembrano condivisibili, soprattutto per quanto attiene a Marco Giacinto Pannella o a Matteo Renzi, ma il quadro generale ha una sua coerenza e una linea originale, come nello stile dell’Autore.
Pur essendo noi animati da una definita Visione del Mondo non certo assimilabile tout court alle posizioni di Mughini, parliamo di lui con simpatia: si tratta, fuor di dubbio, di un personaggio poliedrico, fuori dagli schemi, imprevedibile e sempre brillante, a prescindere dai luoghi, programmi sportivi o di intrattenimento, in cui frequente è stata, ed è ancora, la sua presenza.
I meno giovani lo ricordano di certo come esponente della sinistra sessantottina barricadiera; come redattore dei Quaderni Piacentini; come uno dei fondatori del Manifesto: esperienza, peraltro, durata pochissimo; come direttore, nei primi anni Settanta del Novecento, del foglio Lotta Continua. E ricorderanno senz’altro anche la sua clamorosa rottura col turbolento, inconcludente, opaco e autoreferenziale mondo della sinistra, testimoniata da due libri, decisamente coraggiosi, che ancora oggi conservano intatto il proprio valore di denuncia: alludiamo a Compagni addio, uscito nel lontano 1987 e al successivo Gli anni della peggio gioventù. L’omicidio Calabresi e la tragedia di una generazione. Ma lo spirito non conformista di Mughini era già noto: nel 1980, giusto per fare un esempio, in assoluta controtendenza rispetto alla “cultura” dominante, realizzò un documentatissimo reportage sui giovani di quella che all’epoca era definita Destra radicale o neofascista, lasciando la parola soprattutto ai protagonisti e senza avvalersi da quei toni di supponente demonizzazione così cari all’intellighenzia conformista di regime.
Spirito libero, avulso da sovrastrutture ideologiche così come da obbedienza al politicamente corretto. Quello che un intellettuale, a nostro avviso, dovrebbe sempre mettere in mostra. Come quando, mesi orsono, durante l’assedio russo di Mariupol, Mughini ebbe modo di elogiare pubblicamente i combattenti del Battaglione Azov, difensori non solo dell’integrità nazionale ucraina, ma della dignità dell’intera Europa.
Viviamo un’età postideologica, postmoderna, postdemocratica, come spesso si usa dire. Ora l’intellettuale da “organico” rispetto ad una determinata Visione del mondo, per usare terminologie gramsciane, ormai dimenticate anche negli ambienti della sinistra a la page, si è trasformato in influencer.
L’orizzonte è quello, meschino e riduttivo, della materialità e della ricerca del piacere qui e ora. Si sente proprio il bisogno di una cultura di rottura, di superamento di un presente in cui è difficile trovare qualche valore da “conservare”.
REDAZIONE KULTURAEUROPA